mercoledì, ottobre 18, 2006

Fili in sospeso, capitolo secondo

2.

I grandi amori si annunciano in modo preciso, appena la vedi dici: chi è questa stronza?

(Ennio Flaiano)

Castagno è un paese piccolo, ma riesce ad essere diviso in quattro rioni: il Borgo, il centro, dove ci sono la maggior parte dei negozi, la chiesa, il Bar, e al quale ci si riferisce quando si dice "vò in paese"; Le Prata, con le propaggini di Le Prata alte, al limite del bosco, e del Fondaccio, ai confini meridionali del paese, detto anche la Terra Baiocca dagli altri castagnini; il Reglione, con la casa del popolo, un campo da tennis da prendere in affitto all'edicola, le vestigia in malora dell'albergo e un gruppetto di case popolari; e infine la Rota, il rione più in alto del paese, che ora vede l'assembramento di tutti i partecipanti al matrimonio, visto che il rinfresco si tiene proprio qui, nel prato dell'abitazione di Carlo, che da stanotte si sposterà di alcuni metri, nella casa che ha progettato (è geometra) e costruito.

Il prato è grande, circondato da un po' di alberi sparpagliati, e la zona del rinfresco è stata delimitata da lunghi tavoli imbanditi di crostini di ogni razza e religione, dolci, zuppiere di minestra di pane, vassoi di prosciutto, salame, finocchiona, piatti di pecorino e bottiglie di vino, sangria, vodka, grappa, birra.

In un angolo del prato, a una certa distanza da tavoli e sedie, c'è un piccolo forno a legna per le pizze e le focacce, mentre su una delle terrazze del caseggiato sono stati sistemati un enorme amplificatore, un leggio e una fisarmonica: si prevede ballo liscio.

Ancora non ho visto Giorgia. Per la verità, ho evitato in ogni modo di cercarla. Chiacchiero con Tommaso di chissà cosa, poi mi avvio ai tavoli e prendo un crostino. Vado verso il tavolo con le bottiglie, prendo da bere e vedo, a due o tre metri di distanza, la madre di Giorgia, seduta, che parla con una ragazza che mi dà le spalle, bionda, capelli lunghi e mossi. ('Cazzo!') Mi allontano e cerco qualcuno con cui parlare che si trovi alla distanza maggiore dal tavolo dei vini. Vado dagli sposi, circondati di persone, e sto un po' lì, bevo e guardo nella direzione del tavolo dei vini. La bionda è ancora di spalle, ha una giacca rossa, una gonna nera e un bel paio di gambe, non lunghe ma fatte bene. Ha appena finito di parlare e si incammina verso un altro gruppo di persone, poi si volta.

E' lei.

Non mi ha visto, sono confuso tra le persone vicine agli sposi. Vedo Matteo a sedere sui gradini della casa con una ragazza grassottella, con gli occhiali e i capelli neri e lunghi. E' un'altra cugina di Cristina, così mi avvicino per salutarla.

"Ciao Stefania"

"Ciao". Si alza, doppio bacio sulle guance come vuole la buona creanza, e si siede di nuovo sui gradini, seguita da me.

"Ti si vede solo per i matrimoni, eh?" le chiedo, tanto per dire qualcosa.

"E che ci vengo a fare, quassù?"

"A farti trombare." interviene Matteo.

"Giusto." confermo, continuando la conversazione sullo stesso piano di raffinatezza.

"Ma io ce l'ho digià il ragazzo." ribatte Stefania.

"I'cche c'entra? Noi un siamo mica gelosi." insisto, e indico prima Matteo, poi me. "E siamo anche in due, vuoi mettere?"

"No, un voglio mettere nulla." e si alza, incamminandosi verso i crostini.

"E fai male!" le grida dietro Matteo. Poi si volta verso di me e storce la bocca: "Madonna che budella!"

"Oddio, un granchè unn è mai stata, eppure qualche anno fa tu c'hai provato." gli ricordo malignamente.

Matteo ricambia e risponde alla mia punzecchiatura con una bazzookata. "L'hai vista la Giorgia?"

"Anzi," continuo, facendo finta di niente, "ora che mi ricordo, tu ci sei anche andato insieme. E tu c'hai un coraggio di nulla a apri' la bocca."

Matteo guarda nella direzione di Giorgia e gira il coltello nella piaga. "Le darei tanta di quella fava." Poi si volta verso di me in attesa di una reazione. Mi torna in mente l'immagine di un dondolo nel giardino dell'albergo, in un caldo pomeriggio estivo di alcuni anni fa. "Te, eh? ", rispondo.

Sul prato è in corso un brindisi con gli sposi, e ci aggreghiamo anche io e Matteo. Mentre siamo lì in una decina coi bicchieri alzati a vociare, due persone di fronte a me si spostano sgombrandomi la visuale, e la vedo.

C'è l'ho proprio davanti, così mi vede anche lei. Sorrido (angolo sinistro della bocca increspato in modo da socchiudere le palpebre sullo sguardo intenso) e alzo il bicchiere nella sua direzione per salutarla. Congeda il suo interlocutore e viene nella mia direzione. Eccoci all'acqua.

****

21 luglio 1984. Siamo i soliti di sempre, non c'è verso sbagliare: io, Matteo, Gianni, Giampiero e Giovanni, che ha dieci anni e viene chiamato semplicemente Nanni.

Siamo nella piazzetta davanti al Bar, dall'altisonante nome di Piazza della Vittoria: quattro panchine di ferro, tre acacie secche e una ringhiera, il resto della piazza occupato dalla terrazza del Bar, con quattro tavolini per il ventuno, un ombrellone dell'Algida e il juke-box.

Dopo la cena i villeggianti cominciano la passeggiatina serale per il paese, ovvero dal Bar alla Veranda e viceversa, con qualche puntatina all'albergo tanto per cambiare il giro. Noi lì, seduti ad un tavolo col piano tondo di granito, in attesa dell'arrivo di qualcun altro del gruppo. Poi andremo ai giardini pubblici, a rubare ciliege, o alla chiesina, alle ripe (ma lì c'è il rischio dei gavettoni da parte dei ragazzi più grandi), all'albergo, oppure resteremo al bar, chissà. Intanto si sta a sedere a contare gli spiccioli per una partita a flipper o per un disco al juke-box e a guardare chi arriva.

Su una delle panchine c'è una ragazzetta, non proprio seduta, ma raggomitolata, con le gambe piegate strette fra le braccia e la testa appoggiata sulle ginocchia. Non è brutta, coi capelli castani, i lineamenti un po' irregolari ma piacevoli, e due belle tette, per avere quei tredici-quattordici anni che dimostra. La conosco di vista, è la cugina di Giampaolo, che sta nella casa dei nonni a Le Prata, a dieci metri da casa mia. Non ci ho mai parlato, gli anni precedenti, perchè era una bambina e io invece avevo ben quattordici o addirittura quindici anni, ero un ragazzo maturo, io. Ma ora mi sembra abbastanza matura anche lei.

Dev'essere strana, però. Ogni tanto si alza di scatto, sale di corsa i tre gradini della terrazza, va al juke-box e mette una canzone, sempre la stessa. Poi torna a sedere e ascolta, triste. Una, due, tre volte. Alla quarta volta cambia giro: entra nel bar e ne esce con un ghiacciolo, un Calippo, in mano.

La guardiamo, incuriositi da tutto l'andirivieni precedente. Torna sulla panchina, che miracolosamente non è stata occupata da nessuno nel frattempo, e comincia a mangiare il suo gelato.

Ma un ghiacciolo non si mangia: si succhia, si lecca, si mordicchia, ma non si mangia. E lei succhia lecca e mordicchia, e il Calippo sembra proprio un cazzo, con quella forma cilindrica e la punta arrotondata, e io ho sedici anni e gli ormoni stanno pogando come pazzi.

"Giue!" esclamo. "Guarda quella come ciuccia."

"O chi è?" mi chiede Matteo.

"Mah! La cugina di Giampaolo, ma come si chiama proprio un lo so."

"Gli si va a chiedere!" interviene Giampiero.

"Già, e che gli si dice? 'Oh ciao, siccome ti s'è visto ciucciare il Calippo così bene, si voleva sapere come tu ti chiamavi e se tu venivi ai giardini con noi, almeno tu ci facevi una bella pipa a tutti'."

"Perchè no?" ribatte Giampiero.

Rifletto qualche secondo, poi scuoto decisamente la testa. "Naaa, e poi i miei conoscono i suoi, i su' zii, i su' nonni. No, fò una figura di merda."

Ma Giampiero, non si smonta facilmente. "Ci si manda i' Nanni" e lo indica. "E' un ragazzino, gli chiede come si chiama, quant'anni c'ha, e poi ce lo viene a dire. Poi si va noi."

Il ragionamento fila, e dopo aver dato a Giovanni tre pezzi da duecento lire come compenso, lo spediamo alla panchina. Appena arrivato comincia a parlare, poi punta il dito nella nostra direzione.

"Bravo!", fa Matteo. "Così ci si riusciva anche da soli. E gli s'è dato anche tre dugentini!"

Intanto Giovanni sta tornando a rapporto, "Allora, si chiama Giorgia, c'ha quasi tredici anni, è di Bologna e dice anche che Lorenzo queste cose le sa digià." Poi si avvia all'interno del bar per sputtanarsi i dugentini ai videogiochi. Gli altri mi guardano.

"O ragazzi", cerco di giustificarmi, stringendomi nelle spalle. "Ve l'ho detto prima. Io il nome un lo sapevo davvero."

"Ma lei il tuo lo sa."

"So una sega! Gliel'avrà detto la mi' mamma. O Giampaolo."

Ci alziamo e ci avviamo verso la panchina. Giorgia ci guarda mentre ci avviciniamo, continuando a succhiare il ghiacciolo.

Fu l'inizio di tutto.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

complimenti Priccio, scrivi da dio (il che è normale, visto che in quanto Preacher hai in dono IL VERBO!)

preacher ha detto...

grazie piobove.

e grazie anche ad emo, per la mail che mi ha scritto.

P.S.(breve annotazione): l'espressione "eccoci all'acqua" viene usata a firenze e dintorni per stare a significare che è arrivato un momento cruciale. DI solito viene usata nel momento esatto in cui una discussione si trasforma in rissa, quando dalle parole si passa ai fatti, ed al primo schiaffo (o "labbrata") qualcuno dice "vai, eccoci all'acqua!". :-)))