lunedì, luglio 03, 2006

28 anni....

Chi? Io? Magari. Son dieci di più, altrochè, e proprio fra pochi giorni.

28 sono gli anni (o meglio, le estati e qualche giorno o festività tipo Natale, Capodanno, Pasqua, etc…) che ho trascorso a Castagno d’Andrea, un paesino nell’Alto Mugello, proprio sotto al Monte Falterona, là dove nasce l’Arno (e dove nasce è una pisciatina d’acqua talmente misera che mette tristezza).

E’ un paesello di trecento anime più o meno (forse meno) dove non c’è nessuna di quelle che sono le attrattive tipiche del turismo standard: non ci sono discoteche, non ci sono locali (beh, se si esclude un bar e il circolo ARCI dove il sabato c’è il complessino di liscio), non ci sono cinema, non c’è neanche più l’edicola (e potete immaginare quanto questo per me sia stato fonte di enormi crisi d’astinenza da fumetti e libri che riuscivo a superare solo andando verso Dicomano, il primo paese un po’ più grande, ad una ventina di chilometri, o portandomi in vacanza una valigiata di carta stampata).

Però ci sono stato per tutti gli anni dal ’76 al 2004, e per un bimbo di città andare in un posto dove potevi stare fuori fino a tardi senza paura che ti investisse una macchina o un pedofilo ti facesse la festa, dove c’era aria buona, dove c’erano un sacco di ragazzi coi quali da piccoli organizzarsi in bande e dichiararsi guerra, e poi da grandi cominciare a gironzolare attorno alle ragazze ed avere le prime “storielle”, dove c’erano un sacco di boschi, ruscelli, poggi, montagne da esplorare, da nascondersi per organizzare agguati alle “bande” rivali, da imboscarsi con la fidanzatina di turno, dove c’era aria buona, acqua fresca, cibo genuino, beh, per un bimbo di città andare in un posto del genere era quasi il paradiso, in quegli anni ’70-’80 quando ancora ci si divertiva con poco, bastavano delle carte da gioco messe tra i raggi delle ruote della bicicletta e poi giùùùùùùùùùùù per la discesa (occhio a frenare, perché una volta un ragazzo aveva cappottato e gli avevan messo un sacco di punti al mento, anche se per fortuna i denti gli eran rimasti tutti).

E ora?

E ora la casa che dodici anni fa i miei avevano comprato, dopo aver passato 18 anni in affitto, è stata venduta, e da allora non sono più andato a Castagno.

Ma ci penso sempre. Di continuo. Al posto, agli amici, alle amiche. E ho voglia di tornarci, ma non ci vado. Perché andarci sarebbe la cosa più semplice, ma tornar via la sera, sapendo che non risalgo più la strada per arrivare a casa per cenare e poi tornare al circolo ARCI a chiacchierare con gli amici o ad aspettare di esserci tutti per andare da qualche parte a passare la serata, beh, quello non ce la faccio a sopportarlo…..

A Castagno è nata, cresciuta, entrata in coma, risvegliata e poi definitivamente morta la mia prima vera storia d’amore. Talmente importante per me che per liberarmene l’ho dovuta scrivere. Per poi scoprire, dopo averla scritta, che non me ne ero liberato del tutto, non ancora.

Quando qualche anno fa l’ho postata sul primo blog che avevo (ormai svanito), beh, a quel punto me n’ero liberato. O perlomeno non era più un’ossessione ma era diventata un ricordo, allegro in qualche punto, triste in altri, ma un ricordo che valeva la pena aver vissuto e ricordare.

Ho poi scoperto che casualmente un abitante di Castagno, cercando con Google se c’erano su internet notizie su suo padre, ha scoperto il blog. E l’ha letto. E l’ha fatto leggere anche ad altri. Tra i quali uno dei miei amici (ai quali non avevo detto mai niente di quello scritto), che poi l’ha detto anche agli altri.

Beh, due anni fa, l’ultima estate che ho passato a Castagno, l’unica che ci ha passato anche Rosaria (che si è innamorata del posto), uscendo dal negozio di alimentari, ho incontrato il prete del paese, don Bruno, una delle persone che stimo di più al mondo (un prete come dovrebbero essere i preti, cazzo!). Quel lungo scritto buttato a capitoli sul blog l’aveva letto pure lui.

E gli è piaciuto.

Son soddisfazioni.

Se fate i bravi lo posto anche stavolta