domenica, dicembre 17, 2006

Fili in sospeso, capitolo ottavo

8.

Ovunque uno si trovi, e per quanta illuminazione ci sia intorno, i rapporti umani sono un casino.

(John Updike)

La strada è illuminata dai fari dell'auto, tutto intorno buio completo, a parte i puntini gialli di altri fari che brillano nello specchietto retrovisore. Il rinfresco è finito poco dopo essere tornati col trattore, parenti e conoscenti sono andati verso le proprie case, gli sposi sono rimasti con noi finchè non ci siamo divisi nelle macchine, direzione il Gipsy.

In auto con me ci sono Giorgia, sua cugina Patrizia e Marco, seduto accanto a me, e durante il tragitto verso la discoteca si chiacchiera del più e del meno, del matrimonio, di quale musica ascoltiamo, di quello che c'è da fare la sera a Bologna e a Firenze. E' abbastanza simpatico, peccato.

Intanto siamo arrivati al Cavallino, uno spiazzo lungo la strada del Muraglione, con tre case e un ristorante-pizzeria-bar-tabacchi con annessa discoteca all'aperto, il Gipsy. Parcheggiamo le macchine, ci riuniamo tutti e saliamo il viottolo sterrato verso l'ingresso.

La pista da ballo all'aperto è piena, la musica rimbomba, sempre quella per tutta l'estate: i riempipista decisi da Radio Deejay, qualche vecchio successo degli anni '70 e '80 (Staying Alive, I was Born for Lovin' You e qualche altra hit consunta), i Gipsy Kings, tormentone dell'anno, un po' di acid-house. La solita merda, peggiorata da un D.J. di infimo ordine con un senso dell'humor da calci in bocca.

Alcune ragazze si buttano in pista a ballare, io mi dirigo insieme alla maggior parte degli altri verso i tavolini e le panche di legno. Seguo Matteo e Tommaso verso il bar, prendo una birra e, dopo il primo sorso, rutto nell'orecchio di una ragazza che mi sta accanto, volgendomi le spalle. Lei si gira e mi guarda con gli occhi spenti e un sorrisino ebete sulle labbra.

"Ciao Paola" le dico sorridendo.

"Ciaaao" mi risponde,.ubriaca fradicia. Potrei anche abbracciarla, cercare di portarla di sopra nel parcheggio e, se non mi vomita addosso, combinare qualcosa, invece la saluto con un pizzicotto su una guancia: "Ci si vede domani, passerona."

Vado verso la pista soffocando un altro rutto e ballo fino a quando la vescica comincia a dare segni di vita. Esco dalla pista e trovo Gianni.

"Vieni a pisciare?"

Annuisce e mi segue. Mentre scendiamo le scale che portano ai bagni ferma una ragazza bionda e appariscente che arriva nella direzione opposta.

"Scusa..." comincia Pennellino. "Stiamo facendo un sondaggio. Per ora s'è avuto nove risposte positive e una negativa.", e fa una pausa, in attesa di una risposta. Io ascolto stupito, il sondaggio mi risulta nuovo.

"Che sondaggio?" chiede la ragazza incuriosita.

Pennellino si fa serio e ufficiale e le domanda: "A te ti piace fartela leccare?"

Inizio a ridere, mentre la ragazza ci manda a quel paese e continua a salire le scale. Mi giro verso di lei e le chiedo, sempre ridendo: "La dobbiamo prendere come una risposta negativa?"

"Vaffanculo!" ripete allontanandosi, mentre noi entriamo nei bagni.

"Questa del sondaggio un la sapevo." dico a Gianni.

"S'è inventata io e Matteo la settimana scorsa.", e continua a ridere. "In una serata s'è avuto sette sì, cinque no e una labbrata per uno."

"Un c'è male."

Dopo aver pisciato risaliamo le scale che portano al piano-bar, lo attraversiamo e usciamo all'aperto. Gianni prosegue verso la pista da ballo, mentre io mi fermo al tavolo dove stanno seduti a chiacchierare Marco, Giorgia e le sue cugine, mi tolgo il giubbotto di jeans, lo appoggio sullo schienale di una sedia libera e chiedo se rimangono ancora al tavolino; l'anno scorso un coglione ubriaco di San Godenzo ha scambiato il suo giubbotto con il mio, e preferisco che la cosa non si ripeta. Mi rispondono di sì, quindi posso andare tranquillamente in pista: Tommaso, Tiziana, Matteo, Pennellino e altri quattro o cinque reduci del rinfresco. Dopo una decina di minuti arrivano anche le cugine di Giorgia.

"Oh! E il giubbotto?" chiedo.

"Ce l'hanno al tavolo." mi risponde Patrizia.

Aspetto ancora altri cinque minuti, poi esco dalla pista e vado in direzione del tavolino. Mentre arrivo vedo che Marco è solo col mio giubbotto. Giorgia non è venuta a ballare, può essere solo in un altro posto.

E' l'occasione che aspetto da tutto il giorno, così passo oltre il tavolo, proseguo all'interno del piano-bar e mi apposto a sedere sul primo gradino delle scale che portano ai bagni.

Saluto un paio di ragazzi che stanno salendo, poi altre due ragazze scendono chiacchierando tra di loro, e infine sale Giorgia, che mi guarda, stupita di trovarmi lì a sedere.

"Cosa fai?" mi chiede.

"Aspettavo te."

Si siede accanto a me, con una mano si sposta i capelli che le sono scesi sul viso, e mi guarda, in attesa.

'Eccoci all'acqua.'

Fili in sospeso, capitolo settimo

7.

Troie ce n'è, ma come le donne...

(proverbio toscano)

"Mamma, vo in paese!", e intanto scendo le scale, apro la porta, il cancelletto del giardino e monto sul motorino. Giorgia è già andata da oltre un'ora, e ho finito la versione di latino in fretta e furia per poter raggiungere lei e gli amici alla Veranda. Pedalo svelto per mettere in moto il Ciao nero antracite con l'adesivo di Bruce Springsteen ai tempi di Born to run attaccato sul serbatoio, e in meno di un minuto sono al Bar.

In piazza non c'è nessuno di quelli che cerco, allora parcheggio per dare un'occhiata dentro al bar. Nessuno. Torno al motorino e vado verso la Veranda, attraversando tutto il Borgo.

Eccoli.

"Oh!" saluto, mentre fermo il motorino.

Ci sono Tommaso, Giampiero, Pietro, Tiziana, Cristina e Luana, sbracati a sedere attorno a un tavolino. Un classico primo pomeriggio castagnino in attesa di spostarsi verso i giardini pubblici per giocare a calcetto o per tirarsi addosso un po' di meline o qualche gavettone d'acqua.

Salgo le scalette, mi dirigo al tavolo e chiedo, mentre mi metto a sedere: "Un c'è la Giorgia?"

"No, ancora un s'è vista." mi risponde Tommaso.

"O se l'è venuta in paese da più di un'ora?"

"So una sega." ribatte Tommaso. "Qui un s'è vista."

"Boh, arriverà." Guardo un po' in giro, poi chiedo: "Una partitina a carte?"

"A me un mi va." mi risponde Pietro.

"Bene! Allora siamo tre. Matteo un c'è?", chiedo a Pietro.

"Mah, prima c'era, poi dev'essere andato a fare un giro in motorino..."

Per le carte niente da fare, di stare a sedere al tavolo non ho voglia, Giorgia non c'è, allora mi alzo e torno al motorino. "Sapete che?" dico al gruppo seduto. "Vò a fare una girata in motorino anch'io."

Parto e rifaccio la strada che ho fatto all'andata fino a quando arrivo al Bar, poi, invece di proseguire per Le Prata, giro a sinistra, verso i giardini pubblici: deserto e desolazione, solo un paio di vecchi seduti su una panchina all'ombra.

Supero i giardini, arrivo alla Rota e volto a destra in direzione della chiesina, ma prima di arrivarci mi fermo allo stop di fronte alla strada che va verso la fonte del Borbotto. 'E ora?'. Giro a sinistra, tornando verso la Veranda, la supero e do un'occhiata: sono sempre tutti lì. L'intenzione è di fare il giro del paese, passando da Le Prata, di nuovo il Borgo, per poi fermarmi alla Veranda.

Vado in direzione del bivio in fondo al paese per Le Prata e passo davanti all'albergo. A quest'ora il bar dell'albergo è chiuso, tutti gli ospiti più anziani sono a fare il pisolino pomeridiano e nel giardino non c'è nessuno, a parte Matteo e Giorgia che pomiciano sul dondolo sotto gli alberi....

('...no ancora un s'è vista mah prima c'era poi un lo so mica se è andato a fare un giro in motorino e stamattina Matteo m'ha chiesto 'ma che stai con la Giorgia' e io 'sì' gli ho risposto 'ci sto sì perchè tu lo vuoi sapere' 'così per curiosità'...')

"..."

Freno, la ruota posteriore lascia una traccia nera sull'asfalto e mi fermo su uno spiazzo d'erba accanto alla strada, sotto l'albergo. Le tempie mi pulsano frenetiche, di fronte a me vedo tanti pallini neri che ballano e girano vorticosamente sullo sfondo del campo da tennis, nelle orecchie sento un ronzio fastidioso e continuo. Loro sono pochi metri sopra di me, sul dondolo che va lentamente su e giù e su e giù e su e giù, la spinta rinnovata da ogni movimento, ogni spostamento di una gamba, di un braccio, del corpo, e non si sono accorti di niente, almeno credo.

I pallini cominciano a diradarsi e a girare più lentamente, il ronzio diminuisce insieme al pulsare delle tempie: il sangue sta tornando a fare il suo lavoro di routine, gli effetti fisici si smorzano ma l'incazzatura no, anzi, si sta trasformando, da irrazionale e istintiva che era, in un'incazzatura lucida, ragionata, pericolosa.

'Che faccio?' penso. 'Salgo il giardino dell'albergo, gli arrivo alle spalle e mi schiarisco la voce con flemma inglese per rendere nota la mia presenza? No, meglio di no, poi m'ìncazzo, mi conosco. Grandissima puttana troia maiala Dio vi fulmini tutt'e due e poi sputi sulle ceneri. E fulmini anche me, già che c'è, che sono così testa di cazzo'.

Il ronzio comincia di nuovo ad aumentare. 'Calma.' Rimetto in moto il Ciao e guardo la strada: a sinistra l'albergo, il dondolo, loro, e più su la Veranda, gli amici; a destra, solo strada, sette chilometri di curve fino a San Godenzo ed altri sette per tornare a Castagno. Vado a destra.

martedì, dicembre 12, 2006

Fili in sospeso, capitolo sesto

6.

"Il tragico della vita è che tutti hanno le loro ragioni."

(Jean Renoir: "La regola del gioco")

Si è fatto buio ormai, e il rinfresco è illuminato da due potenti fari. Fa ancora caldo, e i sempre più frequenti bicchieri pieni di qualunque cosa non sia acqua non contribuiscono a far sentire la necessità di altro abbigliamento.

Dopo l'arrivo di Marco non avrei potuto sostenere per molto la conversazione con Giorgia senza diventare sgradevole. Fortunatamente sono intervenuti Gianni e Matteo riportando il dialogo su un tono più di circostanza, fino a quando il forno a legna non comincia a sfornare pizze e focacce, così mi allontano.

Da quel momento cerco di evitarla, e per riuscirci meglio ho raggiunto amici e amiche, riuniti a semicerchio su delle sedie da giardino a bracare su questo e su quest'altro ospite del rinfresco.

La festa sta lentamente arrivando alla fine. Alcune coppie ballano un valzerino scadente accompagnati dal suonatore di fisarmonica sulla terrazza, altre salutano e se ne vanno. Fra un po' andremo anche noi.a ballare al Gipsy, la discoteca di un ristorante lungo la strada del Muraglione. 'Bisognerebbe sentire se viene anche la Giorgia', penso, mentre il rumore del motore di un trattore si fa sempre più vicino.

"Dove va un trattore a quest'ora?" chiedo a Tommaso, seduto accanto a me.

"Viene qui."

Infatti il rumore è ormai arrivato dietro la casa, e dopo qualche istante sbuca sul prato un trattore con un rimorchio per il fieno, che si ferma proprio in mezzo alle tavole imbandite, dove pochi secondi prima la gente ballava. I ballerini interrotti e gli altri ospiti ridono e applaudono all'indirizzo dei due amici degli sposi alla guida del mezzo. Ridendo ci alziamo da sedere e ci avviciniamo al rimorchio, sul quale troneggia un piccolo divano a due posti.

Gli sposi si sistemano sul divanetto per essere subito sommersi e schiacciati dalla trentina di persone che montano in precario equilibrio in piedi nel mezzo del rimorchio o in bilico a sedere sui bordi, come me. Di fronte a me, in piedi, c'è Gianni, seduto sulle ginocchia c'è Tommaso, con Tiziana che si appoggia a lui per non cascare. Accanto a me, sul bordo, c'è Stefano detto Il Dolo, e dopo di lui Giorgia con la sorella della sposa e Marco.

Il trattore parte ondeggiando sugli sbalzi di terreno del prato finchè non ritorna sulla strada e si stabilizza, permettendo a noi dietro di cercare una posizione meno precaria. Caracolliamo in direzione della casa del popolo, lungo la strada che arriva da San Godenzo e circonda quasi tutto il paese.

Appena arrivato di fronte alla casa del popolo il trattore svolta a destra, in direzione del cimitero e delle ripe, il grande spiazzo a strapiombo sul bosco che è una delle classiche mete notturne di gruppi più o meno nutriti in vena di guardare le stelle cadenti e di fare due chiacchiere al buio, sdraiati sul prato, con la musica dell'autoradio che esce dal portabagli aperto della macchina.

Il trattore arranca, con il peso di trenta persone che cantano e vociano, sulla ripida salita del camposanto, prima di arrivare sul breve viottolo tutto poggi e buche il quale, girando dietro il cimitero, si allarga nelle ripe. Le ragazze cantano a squarciagola pezzi di Battisti e Cocciante, interrotte ogni tanto da inni della Fiorentina o da qualche coro di bestemmie di disapprovazione per la scelta delle canzoni.

Colgo l'istante di pausa fra la fine di un coro e l'inizio di un altro e comincio a cantare: "Passerotto..."

"...non andare viaaa.." proseguono due o tre ragazze, seguite dalle altre in un coro baglioniano coi fiocchi.

Il Dolo mi guarda meravigliato: Baglioni non ha mai fatto parte del mio bagaglio musicale. "O che sei grullo?" mi chiede.

"Te un ti preoccupare" gli rispondo.

Mi volto verso Giorgia che, appena iniziato il coro, si è rivolta alla vicina implorando: "No, questa no!", e alle altre ragazze, "Cambiate canzone". Per finire mi guarda, un po' arrabbiata e un po' lusingata. "Sei uno stronzo." mi dice.

"Stronzo? Moi?" Sgrano gli occhi, cercando di sembrare meravigliato. "Perchè?"

No, non ce la faccio, un sorrisetto maligno mi si stampa sulla faccia, rovinando la falsa espressione di meraviglia. Marco guarda Giorgia, poi si volta verso di me per un attimo. Incrociamo gli sguardi e il sorriso mi si allarga ancora di più.

****

Mia madre mi chiama. "Lorenzo!"

Appoggio sul petto il libro che sto leggendo, sdraiato sul letto dopo pranzo: La svastica sul sole, di Philip Dick. "Che c'è?"

"C'è la Giorgia."

Mi alzo dal letto, prendo un foglio ripiegato tre volte per la sua lunghezza, e lo metto alla pagina che stavo leggendo. Dal letto guardo verso il cassettone, dall'altra parte della stanza. Sul ripiano del cassettone c'è il radio-registratore, circondato da decine di cassette: Bruce Springsteen, Led Zeppelin, Eric Clapton, Jimi Hendrix, Pink Floyd, e una con l'etichetta gialla e verde, che fa parte di una raccolta di cantautori italiani comprata dai miei per corrispondenza. Su un lato c'è Claudio Baglioni, sull'altro Cocciante, roba da urlo, ma ora va messa per forza.

Si apre la porta: è lei. "Ciao." Guarda verso il radio-registratore, ascolta per un attimo, fa una smorfia e mi chiede: "Cos'è questa roba?"

"Deep Purple," rispondo sconsolato, ma intanto ha già tolto la cassetta e ha messo quella di Baglioni.

Per fare questo mi volta le spalle, e la guardo: oggi ha un paio di jeans cortissimi e molto attillati, così da modellarle alla perfezione il fondoschiena e mostrarne la parte che si unisce alle gambe, e una camicia arrotolata e annodata sopra l'ombelico. Vestita così può mettere Baglioni, Cocciante, il Quartetto Cetra, non me ne importa una sega.

E' tornata due giorni fa dal mare, e abbiamo già risolto la discussione che c'è stata la mattina che sono andato via da Riccione con Carlo e Alessandro, una decina di giorni prima. La sera precedente tutto bene: la spiaggia, la poltrona a sdraio e il mare in amore. La mattina, dopo che per l'ennesima volta abbiamo fatto la strada Milano Marittima-Riccione, questa volta con la tenda e le borse nel portabagagli dell'auto pronti per il ritorno a Firenze, tutto era cambiato.

Giorgia ha parlato poco e niente sia sulla spiaggia, quando ci siamo fatti alcune foto con lei, Paola e Francois per documentare la spedizione, sia dopo pranzo, e al momento di partire mi ha detto che non voleva più vedermi, che la sera precedente era stata la sera precedente e basta, che non mi facessi delle illusioni e non le rompessi più i coglioni. Sono rimasto per tutto il viaggio in auto a chiedermi che cazzo avevo fatto, che cazzo avevo detto, che cazzo era successo durante la notte, con un nodo alla gola grosso come una pallina da tennis, e intanto chiacchieravo con Carlo e Alessandro del più e del meno, evitando accuratamente di portare il discorso sui due giorni appena passati.

Il giorno dopo le ho scritto una lettera di quelle compromettenti, serie, che le è arrivata all'albergo proprio qualche ora prima di partire per venire a Castagno: che culo che ha certa gente! Così la sera del suo arrivo mi ha spiegato tutto: non mi aveva creduto quando le avevo detto che l'amavo sulla spiaggia, pensava che una volta arrivati quassù l'avrei trattata come una cosa di mia proprietà, e allora aveva preferito trattarmi male per non star male dopo. Mavaffanculo!

E ora, eccola là, al cassettone, fa partire la cassetta, alcuni secondi di silenzio e poi la voce fioca e deprimente di Baglioni comincia a gorgogliare "Passerotto non andare viaaa..."

'Madonna che palle lui e il passerotto!' penso di nuovo, mentre Giorgia si avvicina. Appena arriva a portata di mano ripeto la manovra provata sulla spiaggia a Riccione e la sdraio sul letto. Vai vai, Baglioni, canta.

Fili in sospeso, capitolo quinto

5.

Era davvero orribimente romantico.

(Boris Vian)

"A mezzanotte in albergo." hanno detto i genitori di Giorgia, e noi non abbiamo insistito più di tanto per cambiare l'orario. E' stata una giornata campale, dovevamo tornare a Milano Marittima, al campeggio, alla tenda, e magari dormire anche un po'.

Cristina ha tallonato Alessandro per tutta la sera, l'ha marcato a uomo senza mollarlo un attimo, e lui si è salvato soltanto grazie a Francois, un ragazzone francese che sta nello stesso albergo di Giorgia e che si è aggiunto a noi dopo la cena. Forse non ha notato che con lui siamo in sette, e che sette è un numero dispari, abbiamo pensato, invece l'ha notato, ed è proprio per questo che si è aggregato: è cotto di Giorgia, e vuole impedirmi libertà di movimento, ma è riuscito solo a fare in modo che Cristina non sia saltata addosso ad Alessandro, che non aveva nessuna intenzione, oggi, di tornare di nuovo a Riccione.

Durante il viaggio di ritorno sull'Adriatica affollata di auto ferme e incolonnate, è cominciata un'opera di convincimento pressante.

"Perchè un tu vuoi andare con la Cristina?" ha chiesto Carlo al fratello mentre eravamo fermi in coda davanti ad un semaforo verde.

"E' brutta." ha risposto Alessandro.

"Però è maiala." sono intervenuto. "Un fare la fava, quella tu te la trombi! Mica come me, che son lì che tiro, tiro ma quell'altra un mi vol dar nulla, accident'a ogni cosa."

"C'ha ragione il biondo." ha insistito Carlo. "Quella tu te la trombi! Via! Un ti conosceva nemmeno che l'è andata sott'acqua a morderti le gambe!"

"Te pensa alla Paola, che potrebbe essere la tu' figliola." gli ha ribattuto il fratello.

"Sie, bah! La mi' figliola! Perchè c'ha tredici anni e io ce n'ho venti?"

"Figliola o no, con quella un tu ci trombi."

"E che vuol dire? Un ci son mica solo le trombate al mondo!"

"E' vero!" ho concluso "Ci sono anche le seghe."

Durante le due ore di viaggio necessarie per coprire il tragitto fra Riccione e Milano Marittima la discussione è continuata. Alessandro non poteva farcela, eravamo due contro uno, e stamani, cinque luglio 1986, giorno del mio diciottesimo compleanno, dopo esserci alzati dalla tenda, lavati e fatto colazione, siamo risaliti in auto. Verso Rimini ci siamo svegliati, era quasi ora di pranzo e ci siamo fermati in una pineta a mangiare con le mani un pollo arrosto preso in una rosticceria.

Nel pomeriggio, appena Cipolla e la moglie ci hanno visto spuntare all'orizzonte hanno iniziato a farmi gli auguri, a ricordarmi che compio diciotto anni e sono maggiorenne, a invitarmi a cena con loro e a insistere di fronte ai miei rifiuti. Alla fine l'ho spuntata, ma hanno voluto per forza farmi parlare con i miei e pagare la telefonata, poi ci siamo defilati alla ricerca di una pizzeria.

Al nostro ritorno, dopo cena, Giorgia e Paola ci stanno aspettando a sedere sul dondolo dell'albergo. C'è anche Francois.

Io e Carlo ci mettiamo a sedere sul dondolo e Alessandro su una poltrona di fronte a Francois, chiedendo speranzoso: "Cristina un c'è?"

"Adesso arriva, non essere ansioso." gli risponde Giorgia.

Durante il secondo viaggio Milano Marittima-Riccione siamo tornati sull'argomento, sempre con toni aulici e dolcestilnoviani: "Trombatela", "No", "O trombatela", "Ho detto di no", "Fatti fare una pipa, così un tu la vedi in faccia", "Eh.... quasi quasi", così, appena vediamo Cristina, io e Carlo proponiamo una passeggiata per viale Ceccarini e una puntatina sulla spiaggia, col desiderio poco mascherato di combinare qualcosa. Francois ci segue come un fedele cagnolino rompicoglioni di un metro e ottanta.

La strada è un formicaio: uomini, donne, finocchi, punk, paninari, dark, giovani, anziani, bambini, sono tutti qui, chi a farsi guardare, chi a guardare. La massa di gente non ci permette di camminare tutti e sette insieme, quindi ci incolonniamo, preparando le coppie per la successiva puntata in spiaggia: io e Giorgia, Carlo e Paola, Alessandro e Cristina e Francois.

Dopo una mezz'ora di spintoni e pestate di piedi ci dirigiamo verso la spiaggia. Fendiamo la calca e lentamente ricominciamo a respirare. Sulla spiaggia è fresco, non c'è quasi nessuno e si sta bene, anche se la sabbia entra nelle scarpe e non andrà via fino al prossimo luglio, quando ne entrerà dell'altra.

Apriamo qualche sedia a sdraio, ci sediamo e continuiamo per alcuni minuti a parlare l'uno con l'altro, escludendo lentamente Francois dalla conversazione, grazie anche al fatto che parla solo francese. Quando capisce di essere il settimo incomodo si alza, si avvicina ad alcuni pedalò in secca sulla spiaggia e ci gira attorno fino a quando i suoi movimenti perdono interesse per tutti noi.

Mi sono sdraiato già da qualche minuto, continuando a parlare con Giorgia e tenendo Alessandro e Cristina ai bordi della visione periferica, a due poltrone di distanza. Alessandro è sdraiato come me, in silenzio, lo sguardo rivolto al cielo. Cristina, seduta accanto a lui, lo guarda sognante, ormai siamo dove voleva, non può più scapparle. Non vedo Carlo, coperto dal fratello e dal buio, ma lo sento parlare con Paola.

Rapidamente perdo interesse anche in loro quattro, allungo un braccio verso la spalla di Giorgia, l'agguanto, mi alzo e a metà strada ci incontriamo, ci baciamo. Mi metto a sedere e la spingo a sdraiarsi, farfugliando fra i baci e il respiro affannato qualcosa di sicuramente romantico e convincente ma di altrettanto sicuramente incomprensibile.

Appena terminata la manovra, scendo con i baci dalla bocca al collo, sdraiandomi accanto e sopra di lei. Mentre continuo a baciare leccare e sbavarle il collo, con le mani cerco di sbottonare tutti quei cazzo di bottoni che ha sulla camicetta finchè non trovo una maglietta una canottiera una muraglia cinese di stoffa, insuperabile se non attraverso una manovra di aggiramento. Anche lei mi ha sbottonato la camicia, l'ha tirata fuori dai pantaloni e ora mi abbraccia la schiena nuda, la stringe, la graffia delicatamente con le unghie. Tento di infilare le dita sotto la stoffa della maglietta, cercando di raggiungere una posizione tale che mi permetta se non di palpare tutto un seno almeno di averne la maggior superficie possibile nella mano.

Alessandro continua a guardare le stelle, finge di addormentarsi voltandosi dalla parte opposta ai nostri armeggii. Guarda verso il fratello, che sta ancora parlando con Paola, ma intanto l'ha abbracciata, poi guarda verso i pedalò ma Francois è chino sul bagnasciuga che cerca ricci, conchiglie, o semplicemente di non far caso a quello che sta succedendo.

I sospiri i grugniti e i movimenti da una parte, il fratello abbracciato e lanciato verso il traguardo dall'altra, lo fanno riflettere sulla situazione. 'Ma sì', conclude. 'M'import'una sega. Sarà anche brutta ma, oh, ci sta anche di combinare più di quest'altri due bischeri messi insieme.'

Si volta verso Cristina, illuminata dalla luna e le sorride. Lei sorride a sua volta: le brillano gli occhi. Almeno se la luna non la illuminasse proprio in faccia.

Alessandro scuote la testa. "No, no." dice ad alta voce. "'Un ce la fo, un c'è verso." Si alza dalla sedia a sdraio e raggiunge Francois sul bagnasciuga.

Giorgia mi ha tolto la mano da sotto la maglietta. Ho la testa nell'incavo fra la sua spalla e il collo, e sono intento a baciarla e morderla, assorto come una talpa che sta scavando una galleria sottoterra, concentrato come un frate in preghiera, che quasi non mi accorgo quando mi chiede: "Ma mi vuoi bene?"

Faccio finta di nulla e continuo, ma inizia a scuotermi la spalla, ripetendo: "Ma mi vuoi bene?" e costringendomi a interrompere la mia fervente attività.

Alzo la testa rosso in viso, la guardo negli occhi, sorrido e rispondo: "Certo", aggirando l'ostacolo.

"Ma non me l'hai mai detto" insiste.

"E ora che ho detto?"

"Hai detto 'Certo'."

"E un va bene?" Lo so anch'io che non va bene, ma lei lo sa meglio di me e volta la testa verso il mare. Ricomincio a baciarla e a mordicchiarla sul collo, stavolta distrattamente. In fondo non devo dirle che la verità, niente di più semplice. A parole. Ma nei fatti...

"Grnftiamfrugphf", grugnisco.

"Eh?" Fa finta di non capire, la stronza.

"Grmpfamompmdf" ripeto.

"Come?"

Ha ragione, glielo devo dire. La guardo, è ancora rivolta verso il mare. "Ti amo."

Si volta, e ci guardiamo negli occhi.

"Allora? Non hai capito nemmeno stavolta? Ti amo."

Solo a questo punto mi abbraccia. mi spinge a sè e ci baciamo. La mano si riavvicina al bordo della maglietta, esita per un istante, poi le dita si fanno spazio lentamente.

In sottofondo le onde fanno un rumore placido e sensuale. Otto anni dopo, una commessa d'erboristeria quindicenne molto sveglia e con due tette tonde e piene come due poponi mi parlerà del 'mare in amore', situazione romantica ed erotica, con le onde che si infrangono sul bagnasciuga lasciando una densa scia di schiuma e ritirandosi con un suono lento e liquido che provoca nelle sconsiderate coppie che lo ascoltano troppo a lungo uno stato di passione irrefrenabile. E' il rumore che sentiamo stasera, il mare in amore.

Ma non c'è soltanto il mare, il rumore delle onde sul bagnasciuga e quello del sangue che mi pulsa nella testa e fra le gambe, c'è anche del movimento che percepisco nel buio, a qualche metro di distanza.

Qualcuno che si alza. "No! Sono troppo piccola!" sento dire, con tono risentito e lusingato allo stesso tempo. E' Paola.

Anche Carlo si alza dalla sedia a sdraio. "Ma guarda che io..." tenta di giustificarsi, ma non capisco il seguito della frase, perchè sto già ridendo sulla spalla di Giorgia, e anche lei ride.

Il momento è passato, il mare in amore sta già influenzando chissà chi, ma di questo me ne preoccuperò dopo, avrò anni per rimpiangerlo, ora non posso che ridere.

Dopo, tornando verso l'albergo e verso l'auto che ci riporterà per la seconda volta a Milano Marittima, le ragazze che camminano con Francois alcuni metri di fronte a noi, io e Alessandro sommergiamo Carlo di domande.

"Allora, allora?" lo incalziamo.

"Allora nulla." inizia. "S'era lì, si chiacchierava, e di qua e di là, e questo e quest'altro, insomma, m'avvicinavo e lei zitta, l'abbracciavo e zitta, l'ho stretta a me e zitta. Poi ho provato a baciarla...", pausa a effetto. "S'è incazzata....'No! Sono troppo piccola', mi fa."

"Sì sì, è vero" confermo ad Alessandro, fra le lacrime e i singhiozzi delle risate. "L'ho sentito. Ohiohi che ridere."

Continuiamo a ridere e a camminare e ogni tanto Giorgia e Paola si voltano a guardarci, meravigliate. Cristina ci ha già salutati, incazzatissima. Non la rivedremo mai più. Francois precede tutti, zitto e solitario.

'Ragazzi, che compleanno!' penso. 'Non ce ne sarà mai un altro così.'

Come odio avere ragione.

martedì, novembre 21, 2006

Fili in sospeso, capitolo quarto

4.

I giorni indimenticabili della vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume.

(Ennio Flaiano)

"Allora, dove giro?" chiede Carlo, mentre volta lentamente il volante della Renault 5 verso sinistra, azionando contemporaneamente la freccia. Il cartello al semaforo indica di voltare a sinistra per Rimini e di continuare a diritto sull'Adriatica in direzione di Riccione. Io, Carlo e Alessandro dobbiamo andare a Riccione.

"E sai, sempre così!" esclama Alessandro. "Se si deve a andare a diritto lui gira, se bisogna girare va a diritto."

"Eeeh, che sarà. Ora si rientra sull'Adriatica, un c'è mica bisogno di farla tanto lunga." dice Carlo, cercando una indicazione per tornare indietro.

A dire il vero un po' lunga l'abbiamo fatta per arrivare fin qui. Stamattina eravamo a Firenze, pronti per la partenza, tenda e borse già nel portabagagli dell'auto, poi, a metà mattina, arrivati al campeggio di Milano Marittima, abbiamo montato la tenda con le solite difficoltà e dopo il primo bagno in mare abbiamo mangiato. Un breve abbiocco e via, di nuovo in macchina verso Riccione. Giampaolo, il cugino di Giorgia, mi ha dato l'indirizzo della pensione dove da anni lei e i suoi passano il mese di luglio, Hotel La Nidiola, ed è lì che siamo diretti.

Rientrati con l'auto sull'Adriatica arriviamo rapidamente a Riccione e un po' meno rapidamente troviamo la pensione. L'impiegato della reception ci conferma la presenza di Giorgia e famiglia, indirizzandoci verso lo stabilimento balneare convenzionato con la pensione. Arriviamo sulla spiaggia in condizioni pietose: jeans appiccicati alle gambe, t-shirt sudate e scarpe da ginnastica che si riempiono di sabbia bollente dopo pochi passi. Percorriamo le file di ombrelloni guardando a destra e a sinistra: nulla.

"Oh ragazzi!" esclama Alessandro dopo qualche minuto. "Andiamo a metterci i costumi perchè qui ci si schianta."

"C'ha ragione." aggiungo. "Tanto quell'altra se c'è si trova anche dopo."

Torniamo alla macchina e ci cambiamo all'interno dell'abitacolo. Qualche turista passa e ci guarda divincolarci nel tentativo di infilarci i costumi da bagno e nello stesso tempo di non far cadere il telo da mare che ci copre dalla pancia ai piedi, sbattendo la testa sul soffitto della Renault 5, le gambe sui sedili, i gomiti sui finestrini.

Tornati sulla spiaggia con solo i costumi, le magliette e i teli da mare, ricominciamo a cercare. Da una sedia a sdraio nella fila più vicina al bagnasciuga vedo alzarsi Cipolla. Impossibile sbagliarsi, una pancia così non può essere che la sua. Infatti è lui, Adriano Fossati detto Cipolla, padre di Giorgia, che si avvicina verso di me con la mano tesa per salutare.

"Salve", dice, il solito sguardo impassibile che non lascia trasparire alcuna emozione. Gli stringo la mano e lo saluto.

"Siete venuti a trovare Giorgia?", mi chiede.

('No, siamo venuti a trovare te che tu sei tanto bellino!') "Già", gli rispondo, mentre con la coda dell'occhio guardo verso l'ombrellone. C'è solo la madre di Giorgia, che mi saluta.

"E' andata a fare il bagno con due amiche." continua Cipolla.

Alessandro e Carlo si guardano fra di loro. Il calcolo è semplice: Io, Alessandro e Carlo, uguale tre ragazzi; Giorgia e due amiche, uguale a tre ragazze. Preciso.

"Ora si posa i teli poi si fa il bagno anche noi", dico a Cipolla. "S'è patito un caldo in macchina... Poi almeno si fa una sorpresa alla Giorgia."

Posiamo i teli sulla sabbia, ci leviamo le magliette e andiamo sul bagnasciuga, per vedere dove sono Giorgia e le sue amiche. Viste. Dopo aver memorizzato la posizione torno rapidamente al telo e mi tolgo gli occhiali, mentre gli altri due sono già entrati in acqua. Appena li raggiungo cominciamo a correre e vociare e spruzzare in direzione delle tre ragazze, che stanno giocando con un pallone di gomma.

Giorgia ci riconosce, è sorpresa e riesce soltanto a chiedere: " Siete qui in colonia? "

"Già!", le rispondo con una smorfia, "Il secchiello e la paletta si son lasciati sulla spiaggia."

Passato il primo momento di stupore ci saluta con più calore e ci presenta alle altre due ragazze: "Queste sono Paola e Cristina. Lorenzo, Carlo e Alessandro."

Paola è una ragazzina milanese di tredici anni, alta, un bel viso sorridente incorniciato da capelli castani scuri tagliati corti, un po' magra per i miei gusti. Cristina è più grande, deve avere sedici o diciassette anni, capelli di un castano rossastro, riccioluti e lunghi fino alle spalle, naso a patata, tracagnotta, faccia da maiala.

Dopo essersi presentati cominciamo a giocare con loro a pallone, cercando con successo di fare gli imbecilli, sport del quale siamo campioni: ci schizziamo, ci tiriamo la palla e la prendiamo buttandoci in acqua platealmente e rumorosamente, ritorniamo a galla spruzzando e soffiando acqua dappertutto.

Cristina, accanto ad Alessandro, va in immersione e dopo qualche secondo lui mi guarda stupito, la bocca aperta in un O di meraviglia. Cristina riemerge e le tiro il pallone, mancandola clamorosamente. Mentre si allontana per recuperare la palla, mi avvicino ad Alessandro.

"Che c'era?" gli chiedo.

"Quella là." e indica Cristina. "E' andata giù e mi mordeva le gamba."

"E' una maiala." sentenzio.

"Può essere." conferma Alessandro.

"Bene, no?" Intanto Cristina si riavvicina col pallone in mano. Comincio a ridere e torno al mio posto, accanto a Giorgia, nel cerchio che abbiamo formato. Mi avvicino, la abbraccio. "Allora, sei contenta che siamo... che sono venuto a trovarti?" Non le do il tempo di rispondere e tento di baciarla.

"C'è mio padre, ci vede."

Gli occhiali sono sul telo da mare, ma guardo lo stesso verso la spiaggia, inutilmente. Sicuramente Cipolla è sul bagnasciuga che ci controlla, le braccia conserte sulla pancia, lo sguardo sempre e comunque impassibile, ma non lo vedo.

"M'importa una sega se ci vede." Faccio scendere la mano che ho sulla spalla di Giorgia verso il seno, e indirizzo l'altra sott'acqua, fra le gambe. Si divincola e si allontana, unendosi agli altri.

'Vai, vai, poi ti ripiglio.'

lunedì, ottobre 30, 2006

Fili in sospeso, capitolo terzo

3.

"Che hai fatto in tutti questi anni, Noodles?" "Sono andato a letto presto."

(Robert De Niro: "C'era una volta in America")

In pochi secondi siamo l'uno di fronte all'altra. Cerco di darmi un contegno, mantenendo il sorrisino che mi sono stampato in faccia e inscrivendo cerchi immaginari sul palmo della mano destra con il bicchiere di plastica vuoto

"Allora eri tu quello che avevo intravisto all'oratorio." mi dice. ('Non diventare rosso non diventare rosso non diventare rosso')

"Già." rispondo, sempre sorridendo.

Doppio bacio sulle guance, come vuole la buona creanza.

Sono quattro anni che non la vedo e sembra ieri. Che fai, come vanno gli studi, gli esami, la tesi, niente di tutto questo. Non è importante, non è il nocciolo della questione. Il nocciolo lo trova lei, subito.

"Perchè non mi hai più chiamato?" mi chiede.

Che le rispondo? Mi scusi professore non sono preparato ho studiato ma non ho ripassato domani vengo volontario?

"Perchè chiamarti?" comincio. "Tu hai la tua vita, io la mia. Meglio così, vedersi quando vuole il caso." e sottolineo la frase con un gesto vago della mano col bicchiere ('Che ganzo che sono!').

"E poi," continuo, "hai fatto caso alle stranezze del destino? Fra quattro giorni sono dieci anni che ci conosciamo."

Questa era da Harmony, lo so, così zuccherosa da far venire il diabete, ma alle donne piace che uno si ricordi queste date. Soprattutto piaceva a lei.

Infatti.

"Già" dice, e sorride. "E' vero. Non credevo te lo ricordassi."

"Ma in fondo le date sono numeri e basta, non contano nulla." Bevo un sorso di spumante, così da creare una pausa ad effetto, poi continuo. "Sono i fatti che danno importanza alle date."

Poso il bicchiere vuoto su un tavolo vicino. "Comunque, a parte la tua telefonata dell'anno scorso, era un bel pezzo che non ci si vedeva."

"Ormai a Castagno vengo solo a Natale e a Pasqua, e tu non ci sei mai stato. Ho rivisto Matteo, Gianni, Giampiero, ma te...." si blocca per un momento. "Cosa hai fatto di bello in tutto questo tempo?" mi chiede, con una brusca sterzata del discorso.

('Sono andato a letto presto') "Mah... Niente di particolare. Studio, esami, amici... le solite cose." Mi porto un dito alle labbra e mi faccio pensieroso per un attimo, poi porto il discorso su di lei: "Te invece sei cambiata. Ora sei bionda... Sapevo che c'eri, ma non ero riuscito a vederti, non ti avevo riconosciuta, per questo non..." Cerco di giustificarmi, falso come l'ottone, ma ci crede.

Tutto procede alla perfezione. No, proprio tutto no. Con la coda dell'occhio vedo un tizio alto, con gli occhiali, un completo verde e la cravatta, che ci passa vicino mentre parliamo. Dopo qualche minuto ripassa. ('Che cazzo guarda?')

Giorgia lo chiama: "Vieni qui, non fare lo scemo."

Il tizio si ferma, si volta e viene verso di noi. "Lui è Marco," dice Giorgia presentandomelo, "il mio fidanzato. Marco, lui è Lorenzo."

Per me poteva continuare a fare lo scemo girellando per il rinfresco, ma già che c'è gli stringo la mano con vigore. ('E così questo coso lungo sarebbe lui...')

"Penso di averti già visto." gli dico, guardandolo, per forza di cose, di sotto in sù.

"Quando?" chiede incuriosito.

La risposta la dò a Giorgia. "Non era lui che venne a prenderti con una Fiat 126, l'ultima volta che ci siamo visti, a Bologna?"

"Sì, è lui." risponde.

Quando vidi, o meglio intravidi, Marco a Bologna, non fu una gran giornata. Era il 1991, ottobre o novembre, non ricordo. Era passato più di un anno da quando avevo visto per l'ultima volta Giorgia a Castagno, eravamo stati alla chiesina e ci avevo riprovato clamorosamente, nonostante io avessi la ragazza, ma questo era un particolare di poca importanza in quel momento, e lei stesse già con Marco, e questo era un particolare di nessuna importanza in qualunque momento. Nel frattempo io mi ero lasciato, lei no.

Continuavo comunque a fare la mia vita, a studiare, uscire con gli amici, ogni tanto qualche ragazza, principalmente amiche...

Un pomeriggio, a Firenze, sono come sempre a casa di Carlo e Alessandro, due fratelli che conosco fin dalle scuole elementari. In camera loro, chi sdraiato sul letto, chi seduto, decidiamo cosa fare dopo cena.

"Si va a giocare a biliardo." propongo.

"E dove?", fa Alessandro, "Da Dentone o a Casellina?"

"Boh, è uguale. Però siamo in tre, bisognerebbe sentire Riccardo."

"Telefonagli" mi dice Carlo. "A proposito" continua. "Ieri ho telefonato alla Giorgia."

"Perchè?"

"Mah... così. Domenica volevo andare a fare un giro a Bologna. Ci si rompe sempre i coglioni di domenica, allora l'ho chiamata, le ha fatto piacere e s'è fissato. Te che fai, vieni?"

Lo sventurato rispose.

Giorgia quel giorno conferma quello che mi ha detto l'ultima volta alla chiesina, e cioè che negli ultimi anni si è avvicinata al Signore, che la Chiesa di sopra e la Chiesa di sotto, che mi deve ringraziare perchè stare con me l'ha aiutata a capire quali errori non avrebbe più ripetuto. In pratica si è rifatta una verginità, almeno morale, visto che quella fisica ancora non l'ha persa e non ha intenzione di perderla ancora per lungo tempo.

Per sottolineare la sua conversione ci porta anche a visitare un paio di chiese. Io invece, per sottolineare la mia coerenza, bestemmio (a bassa voce) nella canonica di una delle due chiese, dove c'è un frate che vende i prodotti del suo convento, fra i quali una bottiglietta di un liquore assassino che ci scoliamo durante il viaggio di ritorno, dopo aver visto allontanarsi Giorgia sulla 126 di questo fantomatico Marco.

In auto con Carlo sono particolarmente silenzioso, in preda ad una sega mentale incommensurabile.

'E' così cambiata', penso. 'Allora, chi amo? La Giorgia di oggi o quella di prima? E se è così cambiata, allora amo un fantasma, un ricordo? E che l'amo a fare, a questo punto? Se è un ricordo, non esiste più nella realtà, quindi è inutile che l'ami'.

Nonostante tutto, il ragionamento mi sembra giusto e decido di impegnarmi con tutte le forze per dimenticarla.

'Quasi non mi ricordo come si chiama.' rimugino. 'Anzi, non ricordo neanche quando l'ho conosciuta, e nemmeno quando io Carlo e Alessandro andammo a Riccione a trovarla....'

Interrompo il mio silenzio e mi rivolgo a Carlo, che guida: "Oh!" Lui si volta. "Ma che risate si fece quell'estate a Riccione, eh?" gli dico, con un mezzo sorrisino stampato sulla faccia.

"Ci si buttò via." Sorride anche lui. "Che te lo ricordi il francese? Come si chiamava, Francis?"

"Sì, il mulo parlante. Si chiamava Francois." lo correggo. "E te la ricordi la Paola? E quell'altra che andava dietro a Alessandro?"

"Sì, sì, che Alessandro poi un ci voleva tornare."

"Che anno era, l'86 mi sembra." Faccio un rapido calcolo mentale della data e continuo: "Sì, era l'86, perchè facevo diciott'anni precisi."

"E Cipolla?" dice Carlo.

"Chi, il babbo della Giorgia? Che elemento! Sempre serio, con quella pancia..."

"L'Adriatica poi si fece cinquanta volte..."

"Già. Noi sempre le solite fave, eh? Era troppo logico andare ad un campeggio di Riccione. No! Noi si doveva mettere la tenda a Milano Marittima e poi andare a Riccione tutto il giorno...."

"Che fave!"

"Che bischeri!"

Dopo un lungo momento di silenzio, entrambi presi dai ricordi di quei tre giorni, Carlo sospira: "Bei tempi, però."

"Già."

mercoledì, ottobre 18, 2006

Fili in sospeso, capitolo secondo

2.

I grandi amori si annunciano in modo preciso, appena la vedi dici: chi è questa stronza?

(Ennio Flaiano)

Castagno è un paese piccolo, ma riesce ad essere diviso in quattro rioni: il Borgo, il centro, dove ci sono la maggior parte dei negozi, la chiesa, il Bar, e al quale ci si riferisce quando si dice "vò in paese"; Le Prata, con le propaggini di Le Prata alte, al limite del bosco, e del Fondaccio, ai confini meridionali del paese, detto anche la Terra Baiocca dagli altri castagnini; il Reglione, con la casa del popolo, un campo da tennis da prendere in affitto all'edicola, le vestigia in malora dell'albergo e un gruppetto di case popolari; e infine la Rota, il rione più in alto del paese, che ora vede l'assembramento di tutti i partecipanti al matrimonio, visto che il rinfresco si tiene proprio qui, nel prato dell'abitazione di Carlo, che da stanotte si sposterà di alcuni metri, nella casa che ha progettato (è geometra) e costruito.

Il prato è grande, circondato da un po' di alberi sparpagliati, e la zona del rinfresco è stata delimitata da lunghi tavoli imbanditi di crostini di ogni razza e religione, dolci, zuppiere di minestra di pane, vassoi di prosciutto, salame, finocchiona, piatti di pecorino e bottiglie di vino, sangria, vodka, grappa, birra.

In un angolo del prato, a una certa distanza da tavoli e sedie, c'è un piccolo forno a legna per le pizze e le focacce, mentre su una delle terrazze del caseggiato sono stati sistemati un enorme amplificatore, un leggio e una fisarmonica: si prevede ballo liscio.

Ancora non ho visto Giorgia. Per la verità, ho evitato in ogni modo di cercarla. Chiacchiero con Tommaso di chissà cosa, poi mi avvio ai tavoli e prendo un crostino. Vado verso il tavolo con le bottiglie, prendo da bere e vedo, a due o tre metri di distanza, la madre di Giorgia, seduta, che parla con una ragazza che mi dà le spalle, bionda, capelli lunghi e mossi. ('Cazzo!') Mi allontano e cerco qualcuno con cui parlare che si trovi alla distanza maggiore dal tavolo dei vini. Vado dagli sposi, circondati di persone, e sto un po' lì, bevo e guardo nella direzione del tavolo dei vini. La bionda è ancora di spalle, ha una giacca rossa, una gonna nera e un bel paio di gambe, non lunghe ma fatte bene. Ha appena finito di parlare e si incammina verso un altro gruppo di persone, poi si volta.

E' lei.

Non mi ha visto, sono confuso tra le persone vicine agli sposi. Vedo Matteo a sedere sui gradini della casa con una ragazza grassottella, con gli occhiali e i capelli neri e lunghi. E' un'altra cugina di Cristina, così mi avvicino per salutarla.

"Ciao Stefania"

"Ciao". Si alza, doppio bacio sulle guance come vuole la buona creanza, e si siede di nuovo sui gradini, seguita da me.

"Ti si vede solo per i matrimoni, eh?" le chiedo, tanto per dire qualcosa.

"E che ci vengo a fare, quassù?"

"A farti trombare." interviene Matteo.

"Giusto." confermo, continuando la conversazione sullo stesso piano di raffinatezza.

"Ma io ce l'ho digià il ragazzo." ribatte Stefania.

"I'cche c'entra? Noi un siamo mica gelosi." insisto, e indico prima Matteo, poi me. "E siamo anche in due, vuoi mettere?"

"No, un voglio mettere nulla." e si alza, incamminandosi verso i crostini.

"E fai male!" le grida dietro Matteo. Poi si volta verso di me e storce la bocca: "Madonna che budella!"

"Oddio, un granchè unn è mai stata, eppure qualche anno fa tu c'hai provato." gli ricordo malignamente.

Matteo ricambia e risponde alla mia punzecchiatura con una bazzookata. "L'hai vista la Giorgia?"

"Anzi," continuo, facendo finta di niente, "ora che mi ricordo, tu ci sei anche andato insieme. E tu c'hai un coraggio di nulla a apri' la bocca."

Matteo guarda nella direzione di Giorgia e gira il coltello nella piaga. "Le darei tanta di quella fava." Poi si volta verso di me in attesa di una reazione. Mi torna in mente l'immagine di un dondolo nel giardino dell'albergo, in un caldo pomeriggio estivo di alcuni anni fa. "Te, eh? ", rispondo.

Sul prato è in corso un brindisi con gli sposi, e ci aggreghiamo anche io e Matteo. Mentre siamo lì in una decina coi bicchieri alzati a vociare, due persone di fronte a me si spostano sgombrandomi la visuale, e la vedo.

C'è l'ho proprio davanti, così mi vede anche lei. Sorrido (angolo sinistro della bocca increspato in modo da socchiudere le palpebre sullo sguardo intenso) e alzo il bicchiere nella sua direzione per salutarla. Congeda il suo interlocutore e viene nella mia direzione. Eccoci all'acqua.

****

21 luglio 1984. Siamo i soliti di sempre, non c'è verso sbagliare: io, Matteo, Gianni, Giampiero e Giovanni, che ha dieci anni e viene chiamato semplicemente Nanni.

Siamo nella piazzetta davanti al Bar, dall'altisonante nome di Piazza della Vittoria: quattro panchine di ferro, tre acacie secche e una ringhiera, il resto della piazza occupato dalla terrazza del Bar, con quattro tavolini per il ventuno, un ombrellone dell'Algida e il juke-box.

Dopo la cena i villeggianti cominciano la passeggiatina serale per il paese, ovvero dal Bar alla Veranda e viceversa, con qualche puntatina all'albergo tanto per cambiare il giro. Noi lì, seduti ad un tavolo col piano tondo di granito, in attesa dell'arrivo di qualcun altro del gruppo. Poi andremo ai giardini pubblici, a rubare ciliege, o alla chiesina, alle ripe (ma lì c'è il rischio dei gavettoni da parte dei ragazzi più grandi), all'albergo, oppure resteremo al bar, chissà. Intanto si sta a sedere a contare gli spiccioli per una partita a flipper o per un disco al juke-box e a guardare chi arriva.

Su una delle panchine c'è una ragazzetta, non proprio seduta, ma raggomitolata, con le gambe piegate strette fra le braccia e la testa appoggiata sulle ginocchia. Non è brutta, coi capelli castani, i lineamenti un po' irregolari ma piacevoli, e due belle tette, per avere quei tredici-quattordici anni che dimostra. La conosco di vista, è la cugina di Giampaolo, che sta nella casa dei nonni a Le Prata, a dieci metri da casa mia. Non ci ho mai parlato, gli anni precedenti, perchè era una bambina e io invece avevo ben quattordici o addirittura quindici anni, ero un ragazzo maturo, io. Ma ora mi sembra abbastanza matura anche lei.

Dev'essere strana, però. Ogni tanto si alza di scatto, sale di corsa i tre gradini della terrazza, va al juke-box e mette una canzone, sempre la stessa. Poi torna a sedere e ascolta, triste. Una, due, tre volte. Alla quarta volta cambia giro: entra nel bar e ne esce con un ghiacciolo, un Calippo, in mano.

La guardiamo, incuriositi da tutto l'andirivieni precedente. Torna sulla panchina, che miracolosamente non è stata occupata da nessuno nel frattempo, e comincia a mangiare il suo gelato.

Ma un ghiacciolo non si mangia: si succhia, si lecca, si mordicchia, ma non si mangia. E lei succhia lecca e mordicchia, e il Calippo sembra proprio un cazzo, con quella forma cilindrica e la punta arrotondata, e io ho sedici anni e gli ormoni stanno pogando come pazzi.

"Giue!" esclamo. "Guarda quella come ciuccia."

"O chi è?" mi chiede Matteo.

"Mah! La cugina di Giampaolo, ma come si chiama proprio un lo so."

"Gli si va a chiedere!" interviene Giampiero.

"Già, e che gli si dice? 'Oh ciao, siccome ti s'è visto ciucciare il Calippo così bene, si voleva sapere come tu ti chiamavi e se tu venivi ai giardini con noi, almeno tu ci facevi una bella pipa a tutti'."

"Perchè no?" ribatte Giampiero.

Rifletto qualche secondo, poi scuoto decisamente la testa. "Naaa, e poi i miei conoscono i suoi, i su' zii, i su' nonni. No, fò una figura di merda."

Ma Giampiero, non si smonta facilmente. "Ci si manda i' Nanni" e lo indica. "E' un ragazzino, gli chiede come si chiama, quant'anni c'ha, e poi ce lo viene a dire. Poi si va noi."

Il ragionamento fila, e dopo aver dato a Giovanni tre pezzi da duecento lire come compenso, lo spediamo alla panchina. Appena arrivato comincia a parlare, poi punta il dito nella nostra direzione.

"Bravo!", fa Matteo. "Così ci si riusciva anche da soli. E gli s'è dato anche tre dugentini!"

Intanto Giovanni sta tornando a rapporto, "Allora, si chiama Giorgia, c'ha quasi tredici anni, è di Bologna e dice anche che Lorenzo queste cose le sa digià." Poi si avvia all'interno del bar per sputtanarsi i dugentini ai videogiochi. Gli altri mi guardano.

"O ragazzi", cerco di giustificarmi, stringendomi nelle spalle. "Ve l'ho detto prima. Io il nome un lo sapevo davvero."

"Ma lei il tuo lo sa."

"So una sega! Gliel'avrà detto la mi' mamma. O Giampaolo."

Ci alziamo e ci avviamo verso la panchina. Giorgia ci guarda mentre ci avviciniamo, continuando a succhiare il ghiacciolo.

Fu l'inizio di tutto.

Fili in sospeso, capitolo primo

1.

Era un paese così piccolo che non avevamo neanche lo scemo del villaggio. Dovevamo fare a turno.

(Billie Holliday)

E' il 16 luglio e per la miliardesima volta da diciotto anni a questa parte ho fatto i quasi sessanta chilometri che dividono Firenze da Castagno d'Andrea, stazione climatica a 750 metri s. l. m., come recita il cartello stradale all'inizio del paese.

Circondato dai monti, Falco, Acuto, Falterona e qualche altro cocuzzolo, che lo dividono sia dalla Romagna che dal Casentino, Castagno è un paesino come centinaia di altri sparsi sull'Appennino Toscano, che ricorda con una lapide sulla facciata di una casa il suo unico abitante famoso, il pittore rinascimentale Andrea del Castagno, e divide fra qualche decina di residenti i quattro cognomi che lo caratterizzano sull'elenco telefonico: Fossati, Ringressi, Primarti, Pretolani. L'unica cosa di cui è ricco sono le sorgenti d'acqua: fra attive, secche e quasi scomparse, un opuscolo di qualche anno fa contava centoquattro fonti che, scorrendo sotto terra, corrodendola e sgretolandola, hanno dato ai castagnini una storica familiarità con le frane ed hanno contribuito, insieme alla tranquillità e all'aria fina, a fare del paese un'attrazione turistica per anziani e giovani coppie con prole.

Ma la grande stagione turistica di Castagno d'Andrea era già finita quando i miei lo scoprirono, nel 1976. Si può dire che l'ho visto morire, questo posto.

Fra i posti che permettevano di passare la sera divertendosi, chiacchierando, ballando, intrecciando tresche che duravano un giorno, un mese e a volte una vita, quello che ancora oggi viene chiamato lo 'scialè', realizzato negli anni Sessanta in uno stile che imitava quello delle baite tirolesi, con un bel giardino e un'ampia pista da ballo all'aperto dove ci venivano a suonare i Dik Dik e l'Equipe 84, fu il primo a chiudere nel '75, trasformato in abitazione privata dai proprietari.

Il cinema parrocchiale resse fino all'inizio degli anni Ottanta, quando un piccolo incendio e soprattutto un rapido calcolo dei soldi necessari a rendere l'impianto elettrico a norma di legge convinsero don Bruno, il parroco, a chiuderlo, mentre l'albergo Falterona, l'unico del paese, chiuse nel 1987, o forse era l'88, dopo aver ospitato centinaia di anziani d'estate e i ragazzi del posto in ogni stagione, che comunque non lo avrebbero abbandonato neanche negli anni successivi, utilizzando il muretto di cinta come ritrovo notturno e il giardino incolto per farsi qualche canna o qualche ragazza.

Di tutto quello che c'era sono rimasti solo la Veranda e il Bar.

La Veranda, bar, pizzeria e qualche volta sala da ballo, nel corso degli anni ha chiuso, poi riaperto, poi richiuso ed infine, dopo il crollo del comunismo, è diventata l'unica casa del popolo intitolata all'8 dicembre, giorno della Immacolata Concezione, anche se in realtà la data si riferisce alla firma di un trattato fra Stati Uniti e Unione Sovietica per l'eliminazione dei missili nucleari.

Il Bar invece è il 'Caffè Falterona', ma nessuno lo chiama così. Ci potrebbero essere altri trecento locali del genere, ma a fregiarsi del titolo di 'Bar' nei discorsi ("Vo a i' Barre") sarebbe solo questo, nonostante sia stato abbandonato dalle generazioni più giovani, e anche da molti rappresentanti di quelle adulte, a favore della Veranda, e si accontenti da anni di avere come clienti alcuni tenaci giocatori di conchino e ancor più tenaci legioni di mosche, entrambe categorie di scarso consumo. Il Bar, o anche 'Lamberto', dal nome del proprietario, è stato il primo, e per diverso tempo il solo, locale di Castagno, e anche per la nostra generazione era, fino a qualche anno fa, il ritrovo per eccellenza, il luogo di raccolta nel quale decidere dove andare e cosa fare.

Per il resto, oltre a due chiese, quella principale nel centro del paese arricchita dagli affreschi di Annigoni e l'oratorio, più decentrato, rimangono i giardini pubblici e un po' di negozi: giornalaio, macelleria, merceria, il forno e... 'Fiammetta', ovvero frutta, verdura, salumi, pane, tabacchi, gelati, detersivi, medicine quando la farmacia ancora non c'era e qualunque altra cosa occorra in un paese col supermercato più vicino a una quindicina di chilometri.

Delle feste che animano di solito i paesi come Castagno durante l'arco dell'anno e soprattutto nei mesi estivi non è rimasto quasi nulla. Le varie sagre della ciliegia e delle castagne, le feste dell'Unità, dell'Avanti, dell'Amicizia, tutto finito, a parte la Ballottata, cioè la festa delle castagne organizzata l'ultima domenica di ottobre, rigorosamente sotto una pioggia torrenziale e in concomitanza con altre sagre simili in paesi più vicini a Firenze e meglio serviti dagli enti di promozione turistica, e il ballo in maschera del 14 agosto, ormai diventato una cosa di una tristezza abbagliante, con tre bambini in maschera che tirano i coriandoli, un volenteroso che mette nastri di Casadei e Castellina-Pasi, quattro coppie che ballano, una delle quali composte da donne, e una cinquantina di persone che guardano, si spingono e praticano lo sport nazionale castagnino: la chiacchiera maligna e, nel novantanove per cento dei casi, priva di fondamento.

I villeggianti sono diminuiti di anno in anno e ormai si vedono le solite facce di quelli che sono secoli che vengono qua e che magari ci hanno comprato anche la casa. Fra questi ci siamo anch'io e il gruppo di amici che, attraverso gli anni, fra defezioni, nuovi acquisti, fidanzati e fidanzate, si è raccolto e stabilizzato attorno ad un nucleo centrale.

Fin dai tempi dei tempi ci sono stati Matteo e suo fratello Pietro, che ormai si fa vedere raramente, e che ho conosciuto litigandoci al Bar nel luglio del '76, per non ricordo quale motivo. Il litigio sfociò in una lotta senza esclusione di colpi sulla terrazza del locale, fra il calcino e i tavolini, fino a quando l'intervento di Lamberto, che ci consigliò di continuare al campo sportivo, non ci fece effettivamente trasferire, lottatori e tifosi, al campo sportivo.

Nel corso di quella mia prima estate a Castagno conobbi anche Tommaso, che sarebbe diventato un grande cuoco, grande giocatore di calcetto e grande amico di tutti, oltre alla maggior parte dei ragazzi del paese, fra i quali Gianni, il terzo di una dinastia di Pennelli che parte dal padre e passa attraverso il fratello maggiore per arrivare fino a lui, tutti oltre il metro e novanta, e Giampiero, che nei primi anni Ottanta abbracciò lo stile di vita paninaro, tentando anche una carriera come D.J con lo pseudonimo di Danny 69, carriera che si svolse principalmente nelle feste alla Veranda e in quelle di carnevale e di fine anno che organizzavamo a Firenze.

C'erano Antonio, Giampaolo, ed altri ancora, come Andrea, detto Elettro, che ora sembra quasi si vergogni di noi, o forse si vergogna di come era quando stava con noi. Poi c'ero io: all'anagrafe Lorenzo, ma quassù Biondo, Stoppa, e qualche altro soprannome che non ha superato la prova del tempo e del quale non rimane memoria.

E le ragazze. Una delle prime ad entrare nel gruppo fu Tiziana, detta 'la marescialla' per il carattere impossibile, ormai da anni fidanzata con Tommaso che tenta, senza riuscirci, di comandare a bacchetta. Poi arrivò Luana, di Faenza, che era matta come un cavallo, si tingeva i capelli d'arancione, si incideva sulle braccia con rami appuntiti scritte tipo 'MagicaLua' e 'Forza Juve', ma aveva fatto innamorare la maggior parte di noi perchè era una delle poche ad avere le tette, e l'unica ad averle belle. Raggiunse il culmine della follia, almeno secondo noi maschi, quando si mise con Giampiero, all'epoca già paninaro estremista, per poi lentamente rinsavire fino a farci conoscere, alcuni anni fa, il suo ragazzo, Ivan, diventato subito un amico affiatato.

E poi Laura, la sorella di Elettro, detta Elettra per distinguerla da un'altra Laura ancora, e Cristina, e le due che stavano nelle roulotte a Le Prata, Grazia e Francesca (chissà che fine hanno fatto), e poi le ragazzine che ogni tanto Matteo o qualcun altro trasferiva dal vivaio che era il gruppo dei ragazzi più piccoli: Barbara, Sonia, Simona.

Le estati trascorse a Castagno con tutti loro e molti altri ancora, hanno una loro divisione in epoche, in età. La prima è l'età delle bande, quando ci dividevamo in gruppi, con rifugi costruiti nei boschi e rapidamente smantellati dalle bande avversarie, gesto estremo di spregio che portava a sanguinose guerre con prigionieri torturati con l'ortica, sassaiole e scontri frontali ai giardini pubblici.

La seconda epoca, collocabile dai quindici ai venti-ventidue anni, è l'età della 'cicala', in pratica l'adolescenza, caratterizzata da una iniziale scoperta delle ragazze come dispensatrici di dolori e di piacere e non soltanto come tirassegno per sassi e gavettoni, da un periodo di mezzo con ripetuti tentativi con l'una o l'altra ragazza, e da un periodo finale, con le prime coppie stabili, che avrebbe fatto scivolare il gruppo, senza accorgersene, nella terza epoca, quella odierna, priva di una caratteristica che la contraddistingua se non la consapevolezza che il periodo della mancanza di preoccupazioni serie è finito.

Nel corso degli anni siamo stati così il gruppo dei "bambini", poi i "pischelli", infine "quelli grandi", ogni volta lasciando ad altri, come era successo con quelli che ci avevano preceduto, il nome e la rispettiva posizione in questa piramide sociale, ed ogni volta perdendo qualcuno per strada, con maggiore o minor rimpianto, se non con gioia.

Oggi, amici di una vita e di più fresca data sono presenti, insieme a tutti gli abitanti del paese rigorosamente col vestito della festa, al matrimonio di Carlo e Cristina, due di quelli che fino a pochi anni fa ci consideravano pischelli e che ora passano il tempo con noi.

La cerimonia si tiene all'oratorio, più piccolo e raccolto della chiesa centrale, con cinque gradini che portano in un piccolo portico quadrato sul quale si apre la porta della chiesa, una sola navatina con poche panche, due confessionali e in fondo l'altare.

Il portico della chiesina è da sempre uno dei luoghi di sosta notturni più ambiti, insieme al muretto di cinta dell'albergo e alle ripe accanto al cimitero, per poter chiacchierare, bere, conoscersi e lasciarsi, ridere, scherzare e tirare anche qualche moccolo. Ora è pieno fino all'inverosimile di gente in giacca e cravatta, con in mano il riso, ma anche spaghetti, penne e rigatoni, da tirare agli sposi.

Io, Gianni, Tommaso e Matteo siamo sul muretto del portico, appoggiati precariamente alle colonne e alle schiene della gente sotto di noi, in attesa, col riso e gli spaghetti spezzettati che scivolano dalle mani sudate. Scruto attentamente la calca attorno all'entrata della chiesa, fingendo di aspettare il momento dell'uscita degli sposi, in realtà cercando di scorgere Giorgia.

La funzione è finita, la gente comincia a uscire ('Dov'è?') e si aggiunge a quella sotto il portico ('Non la vedo.') mentre gli sposi, all'interno dell'oratorio, fanno le ultime foto ('Eppure ci dev'essere'). Arrivano gli sposi e parte il riso, la pasta, urli, fischi ('E' quella? No.'), Tommaso suona la campana, e Gianni, accanto a me, mi urla in un orecchio: "Oh, l'hai vista? Te l'avevo detto che c'era."

"Dove?"

"Laggiù", e indica un punto in mezzo alla calca del portico. E' una ragazza di spalle, riccioli lunghi e biondi. ('Biondi? Lunghi?')

"Oh Pennello, ma che sei sicuro?"

"Camadò!"

Sì, è sicuro.

giovedì, ottobre 05, 2006

Fili in sospeso, prologo

9 luglio 1994

Il tempo presente è racchiuso nel tempo passato.

(Ian McEwan)


Sei bottiglie di vino e tre di vodka vuote sul tavolo, in mezzo a piatti, posate, bicchieri e tazzine da caffè. Non c'è male, anche se le bottiglie di vodka erano tutte oltre la metà quando la cameriera ce le ha portate.

Seduti davanti a questa distesa di stoviglie sporche e bottiglie vuote, a discutere del più grande mistero del creato, le donne, siamo sette uomini e cinque o sei grandi misteri del creato, che invece stanno parlando del matrimonio di Carlo e Cristina sabato prossimo, il 16 luglio, e di chi ci sarà e se la casa è a posto e di come ci si deve vestire e altri bla bla del genere.

La nostra conversazione, oltre a toccare argomenti molto più terreni, è rallentata dall'alcol e dalle risate, e da quando si è spostata sul calcio non riesco più a seguirla.

Sto fissando da qualche minuto la testa di cervo appesa al muro della pizzeria quando Carlo, il promesso sposo, anche lui stanco di sentir parlare di campionato e della Fiorentina che un altr'anno la coppa UEFA e fra due lo scudetto, mi dà di gomito su un braccio per attirare la mia attenzione. "Oh. Lorenzo."

"Oh?""

"Al matrimonio c'è anche la Giorgia."

"Ah, bene." rispondo, "Sarà quattr'anni che un la vedo." Mi verso un po' d'acqua nel bicchiere e bevo, così da costringere Carlo a voltarsi per cambiare interlocutore. Poso il bicchiere e mi appoggio al tavolo con i gomiti, fingendo di ascoltare la conversazione.

'Giorgia. Beh, per forza, la Cristina è sua cugina', penso.

L'ultimo contatto con lei è stato a settembre dell'anno scorso. Mi ha telefonato, dopo più di tre anni.

Sto uscendo di casa e DRIN!, squilla il telefono. "Mamma, rispondi te. Se mi cercano sono morto mi hanno cremato e hanno buttato le ceneri in Arno. Chiunque sia."

"Pronto?" risponde mia madre, mentre io, mano sulla maniglia della porta, aspetto per sentire chi è.

"Oh, ciao Giorgia. Sì, sì, Lorenzo è quì sulla porta, stava...." Allontano mia madre dal telefono e prendo la cornetta. "Ciao, sono Lorenzo", inghiottisco a vuoto e cerco di continuare. "Come va?"

"Ciao." E' proprio lei. "Non ti ricordi più degli amici?" continua.

"Certo che ricordo." le rispondo, "Non credevo ricordassi te." Bel discorso a bischero. Del resto, dopo tre anni mi telefona LEI mentre sto per uscire, è logico essere un po' impreparati.

Dopo questa bella frase storica passo mezz'ora al telefono, come ai vecchi tempi, solo che non sono i vecchi tempi, e così mi racconta che in quei giorni ha riletto i suoi vecchi diari le è venuta voglia di sentirmi e come va e come non va ma risentiamoci non aspettiamo altri tre anni saluti e baci ciao clic.

'Bene.' penso, mentre ricordo la telefonata seduto al tavolo del ristorante. 'E io che quando sono sveglio riesco quasi a convincermi di averla dimenticata, invece quella legge i diari e telefona, poi saluta, riattacca, esce col tipo e grazie di tutto. Sì, grazie al cazzo! E ora viene anche al matrimonio.'

Attorno a me voci e risate, dapprima indistinte, poi sempre più chiare man mano che riemergo dai ricordi: "...allora, si va? Chiama la cameriera, s'ha da pagare... ..'ndo' si va? Biondo? Oh Biondo!...".

"Oh! Che c'è?" rispondo.

"C'è che sono trentatremila a cranio." mi dice qualcuno.

Mi alzo dalla sedia per prendere il portafogli ma mi gira la testa, la stanza, il tavolo.

Soprattutto mi girano i coglioni.

Ok, ho deciso....

Ok, ho deciso...

L'avevo scritto nel post del 3 luglio, di quel lungo racconto che avevo messo anni fa nel primo blog che avevo aperto.
Dal prossimo post, lo ripubblico anche su questo.
Perchè?
Due motivi:
- mi dispiace far languire il blog, e con poca spesa (di copincolla) lo tiro avanti per un po';
- son curioso di vedere cosa capita a rimetterlo su internet... magari qualche altro dei protagonisti lo ritrova casualmente come successo quattro anni fa!

Ovvia, si riparte.

P.S.: abbiate pietà. è roba scritta quasi 12 anni fa.....

venerdì, agosto 11, 2006

Killer Elite, parte prima

Mentre raccoglievo le idee per scrivere questo post su Killer Elite mi sono reso conto che ormai quel “mucchio selvaggio” (tanto per citare un altro titolo di Peckinpah) di assassini prezzolati fa compagnia a me, Alessio Landi e Alessio D’Uva da quasi due anni.
Era infatti il settembre 2004 quando, presso la Lexcorp (nome ufficioso della casa di Alessio Landi/Lexland), il padrone di casa accennò a me e all’altro Alessio (Dual sui forum) la trama di una storia che coinvolgeva il killer più bravo del mondo e la sua decisione di sfidare gli altri assassini a pagamento più importanti.
Stavamo lavorando al background di un progetto che coinvolgeva una città fondata da dei bluesman, sulla quale una multinazionale farmaceutica regnava economicamente e politicamente. Il progetto si bloccò (ed è ancora fermo) per cominciare a lavorare su quello che inizialmente aveva il titolo di “Killer Six”.
La struttura del progetto nacque rapidamente: primo numero con sei storie di 8 pagine ciascuna dove veniva presentato il background della storia (ovvero perché il killer più famoso del mondo, Augustus Brugel, aveva intenzione di sfidare i suoi “colleghi”) e i sei personaggi protagonisti.
Secondo numero (se il primo avesse trovato un editore e fosse andato bene) con la sfida mortale.
Servivano i protagonisti.
Oltre a me e Dual, Lexland coinvolse anche una conoscenza forumistica, Sergio Calvaruso (Gambitt24 sui forum), che stava sceneggiando le storie di un suo personaggio pubblicato online su http://www.comicus.it/.
E iniziarono a nascere i sei killer: oltre ad Augustus Brugel, motore primo della vicenda, Lexland creò Leviatank (personaggio che aveva già in mente per una storia scritta e disegnata da lui) ed Amy Ammo, l’unica protagonista femminile; Sergio/Gambitt in una velocissima nottata “dette alla luce” Virùs; Dual arrivò con Ted Lavater ed io con Earl Roy.
Tutti quanti disturbati (i personaggi, intendo, non gli autori…. Oddio, anche gli autori….).
Le sceneggiature dei sei “episodi” vennero scritte rapidamente, con alcune limature e correzioni sull’episodio di Augustus Brugel, che faceva da cornice-presentazione agli altri cinque, per renderlo più omogeneo col resto delle storie.
Con il progetto delineato, ma senza uno straccio di disegnatore a disposizione, Lexland andò a Lucca Comics 2004 in cerca di un editore. O perlomeno di un pazzo che ci desse fiducia.
Trovò un pazzo: Alessandro Bottero. Fortuna che faceva pure l’editore.
Bottero ci dette fiducia, ed iniziammo a cercare i disegnatori.
Sergio aveva già un disegnatore di fiducia, l’ottimo Alessandro Bragalini (ottimo sì, adesso sta collaborando con la Image!), ne mancavano cinque.
Io contattai Simone Guglielmini (che però era alle prese con Detective Dante n. 9) e Gigi Baldassini, che si interessò molto al progetto, ma che poi entrò a far parte dello staff di Jonathan Steele.
Lexland e Dual conoscevano uno degli insegnanti della Scuola di Comics di Firenze, Francesco Ciampi, al quale parlarono del progetto, ormai stabilmente intitolato “Killer Elite” su proposta del qui presente estensore del post, e che ci fornì i nomi di alcuni dei migliori studenti dell’ultimo anno della Scuola.
Dalla rosa di nomi proposta e da alcuni incontri di conoscenza, alla fine la lista dei disegnatori fu completata. Ad Alessandro Bragalini si aggiunsero Valerio Pastore, Marco Tavarnesi, Nicola Saviori e Francesco Rossi.
A quel punto il 2005 era iniziato. E con il 2005 iniziarono un po’ di scazzi interni, un certo lassismo da parte dei disegnatori (ed uno scarso controllo da parte nostra sul loro lavoro), e la promozione dell’albo con ogni mezzo (legale).
Un altro amico, Fabiano Fedi, preparò il logo e la grafica dell’albo, oltre che un mini-sito di presentazione, mentre io Lex, Dual e Gambitt ci davamo da fare a contattare riviste e siti di critica fumettistica per pubblicizzare l’albo, che aveva come data d’uscita luglio 2005.
A Torino Comics 2005 portammo delle cards promozionali con i sei personaggi che andarono a ruba (nel senso che le prese quasi tutte il grande capo della Pegasus per inviarle alle varie fumetterie). Nell’occasione io e Bottero parlammo del progetto con Luca Boschi e lo staff di Fumo di China. Boschi avrebbe poi scritto l’editoriale di presentazione sull’albo, mentre Fumo di China ci avrebbe dedicato un’intera pagina di intervista e presentazione dell’albo.
Da Torino Comics 2005 venne fuori un’altra idea. L’amico e forumista Scarlet Speedster, autore e chitarrista del gruppo metal DRAKKAR, ci propose di scrivere il testo di una delle canzoni che il gruppo aveva in preparazione basandosi sul soggetto del fumetto. Nacque così anche la canzone “Killer Elite”, che se qualcuno vuole penso possa ancora scaricare dal mini-sito di Killer Elite (http://killerelite.altervista.org/). Per scaricarla è necessario inserire una password, che troverete nascosta all’interno delle pagine dell’albo (eh sì, strategie di marketing multimediale avanzato!!!!).
Intanto i disegnatori andavano (con mooooolta caaaaalma) avanti, ed a maggio preparammo una mostra delle tavole già pronte presso l’Anomalia Club, una rockoteca dalle parti di Prato.
Alla fine arrivarono tutte le tavole, e capimmo che come editor avremmo dovuto farci rispettare maggiormente. Nonostante avessimo specificato le dimensioni delle tavole, per poi non dover fare un lavoraccio per doverle far combaciare con le dimensioni dell’albo, ognuno aveva fatto un po’ come gli pareva. Le scadenze che avevamo dato per la consegna furono abbondantemente superate, e le tavole ci arrivarono direttamente ripassate a china. Molti errori anatomici e prospettici (soprattutto nella storia-cornice di Brugel) fu impossibile farli correggere.
L’ultima cosa ad arrivare fu la cover dell’albo, realizzata da Francesco Ciampi.
A quel punto, da molte parti si parlava di questo Killer Elite, e c’era una certa attesa. Avevamo il timore che ci aspettassero al varco per massacrarci.
Il lavoro di preparazione dell’albo (lettering, grafica, correzioni, etc etc…) venne terminato con alcune lunghe nottate al computer, e finalmente portammo il cd con gli impianti in tipografia.
A luglio l’albo uscì, e nonostante il prezzo alto (6,90 euro per 48 pagine in bianco e nero) e l’assoluto anonimato degli autori, fu un successo: buon riscontro di vendite e recensioni positive (tutte tranne una, quella su http://www.fumettidicarta.it/, che non si dica che su quel sito avevamo corsie preferenziali. Obiettività ed oggettività, prima di tutto. Sono stato felicissimo delle critiche mosse dall’autore dell’articolo – ed amico – Fabio, ed alcune di esse mi/ci sono state molto utili).
Ma noi stavamo già preparando lo Speciale numero 0 per Lucca 2005…..