domenica, dicembre 17, 2006

Fili in sospeso, capitolo ottavo

8.

Ovunque uno si trovi, e per quanta illuminazione ci sia intorno, i rapporti umani sono un casino.

(John Updike)

La strada è illuminata dai fari dell'auto, tutto intorno buio completo, a parte i puntini gialli di altri fari che brillano nello specchietto retrovisore. Il rinfresco è finito poco dopo essere tornati col trattore, parenti e conoscenti sono andati verso le proprie case, gli sposi sono rimasti con noi finchè non ci siamo divisi nelle macchine, direzione il Gipsy.

In auto con me ci sono Giorgia, sua cugina Patrizia e Marco, seduto accanto a me, e durante il tragitto verso la discoteca si chiacchiera del più e del meno, del matrimonio, di quale musica ascoltiamo, di quello che c'è da fare la sera a Bologna e a Firenze. E' abbastanza simpatico, peccato.

Intanto siamo arrivati al Cavallino, uno spiazzo lungo la strada del Muraglione, con tre case e un ristorante-pizzeria-bar-tabacchi con annessa discoteca all'aperto, il Gipsy. Parcheggiamo le macchine, ci riuniamo tutti e saliamo il viottolo sterrato verso l'ingresso.

La pista da ballo all'aperto è piena, la musica rimbomba, sempre quella per tutta l'estate: i riempipista decisi da Radio Deejay, qualche vecchio successo degli anni '70 e '80 (Staying Alive, I was Born for Lovin' You e qualche altra hit consunta), i Gipsy Kings, tormentone dell'anno, un po' di acid-house. La solita merda, peggiorata da un D.J. di infimo ordine con un senso dell'humor da calci in bocca.

Alcune ragazze si buttano in pista a ballare, io mi dirigo insieme alla maggior parte degli altri verso i tavolini e le panche di legno. Seguo Matteo e Tommaso verso il bar, prendo una birra e, dopo il primo sorso, rutto nell'orecchio di una ragazza che mi sta accanto, volgendomi le spalle. Lei si gira e mi guarda con gli occhi spenti e un sorrisino ebete sulle labbra.

"Ciao Paola" le dico sorridendo.

"Ciaaao" mi risponde,.ubriaca fradicia. Potrei anche abbracciarla, cercare di portarla di sopra nel parcheggio e, se non mi vomita addosso, combinare qualcosa, invece la saluto con un pizzicotto su una guancia: "Ci si vede domani, passerona."

Vado verso la pista soffocando un altro rutto e ballo fino a quando la vescica comincia a dare segni di vita. Esco dalla pista e trovo Gianni.

"Vieni a pisciare?"

Annuisce e mi segue. Mentre scendiamo le scale che portano ai bagni ferma una ragazza bionda e appariscente che arriva nella direzione opposta.

"Scusa..." comincia Pennellino. "Stiamo facendo un sondaggio. Per ora s'è avuto nove risposte positive e una negativa.", e fa una pausa, in attesa di una risposta. Io ascolto stupito, il sondaggio mi risulta nuovo.

"Che sondaggio?" chiede la ragazza incuriosita.

Pennellino si fa serio e ufficiale e le domanda: "A te ti piace fartela leccare?"

Inizio a ridere, mentre la ragazza ci manda a quel paese e continua a salire le scale. Mi giro verso di lei e le chiedo, sempre ridendo: "La dobbiamo prendere come una risposta negativa?"

"Vaffanculo!" ripete allontanandosi, mentre noi entriamo nei bagni.

"Questa del sondaggio un la sapevo." dico a Gianni.

"S'è inventata io e Matteo la settimana scorsa.", e continua a ridere. "In una serata s'è avuto sette sì, cinque no e una labbrata per uno."

"Un c'è male."

Dopo aver pisciato risaliamo le scale che portano al piano-bar, lo attraversiamo e usciamo all'aperto. Gianni prosegue verso la pista da ballo, mentre io mi fermo al tavolo dove stanno seduti a chiacchierare Marco, Giorgia e le sue cugine, mi tolgo il giubbotto di jeans, lo appoggio sullo schienale di una sedia libera e chiedo se rimangono ancora al tavolino; l'anno scorso un coglione ubriaco di San Godenzo ha scambiato il suo giubbotto con il mio, e preferisco che la cosa non si ripeta. Mi rispondono di sì, quindi posso andare tranquillamente in pista: Tommaso, Tiziana, Matteo, Pennellino e altri quattro o cinque reduci del rinfresco. Dopo una decina di minuti arrivano anche le cugine di Giorgia.

"Oh! E il giubbotto?" chiedo.

"Ce l'hanno al tavolo." mi risponde Patrizia.

Aspetto ancora altri cinque minuti, poi esco dalla pista e vado in direzione del tavolino. Mentre arrivo vedo che Marco è solo col mio giubbotto. Giorgia non è venuta a ballare, può essere solo in un altro posto.

E' l'occasione che aspetto da tutto il giorno, così passo oltre il tavolo, proseguo all'interno del piano-bar e mi apposto a sedere sul primo gradino delle scale che portano ai bagni.

Saluto un paio di ragazzi che stanno salendo, poi altre due ragazze scendono chiacchierando tra di loro, e infine sale Giorgia, che mi guarda, stupita di trovarmi lì a sedere.

"Cosa fai?" mi chiede.

"Aspettavo te."

Si siede accanto a me, con una mano si sposta i capelli che le sono scesi sul viso, e mi guarda, in attesa.

'Eccoci all'acqua.'

Fili in sospeso, capitolo settimo

7.

Troie ce n'è, ma come le donne...

(proverbio toscano)

"Mamma, vo in paese!", e intanto scendo le scale, apro la porta, il cancelletto del giardino e monto sul motorino. Giorgia è già andata da oltre un'ora, e ho finito la versione di latino in fretta e furia per poter raggiungere lei e gli amici alla Veranda. Pedalo svelto per mettere in moto il Ciao nero antracite con l'adesivo di Bruce Springsteen ai tempi di Born to run attaccato sul serbatoio, e in meno di un minuto sono al Bar.

In piazza non c'è nessuno di quelli che cerco, allora parcheggio per dare un'occhiata dentro al bar. Nessuno. Torno al motorino e vado verso la Veranda, attraversando tutto il Borgo.

Eccoli.

"Oh!" saluto, mentre fermo il motorino.

Ci sono Tommaso, Giampiero, Pietro, Tiziana, Cristina e Luana, sbracati a sedere attorno a un tavolino. Un classico primo pomeriggio castagnino in attesa di spostarsi verso i giardini pubblici per giocare a calcetto o per tirarsi addosso un po' di meline o qualche gavettone d'acqua.

Salgo le scalette, mi dirigo al tavolo e chiedo, mentre mi metto a sedere: "Un c'è la Giorgia?"

"No, ancora un s'è vista." mi risponde Tommaso.

"O se l'è venuta in paese da più di un'ora?"

"So una sega." ribatte Tommaso. "Qui un s'è vista."

"Boh, arriverà." Guardo un po' in giro, poi chiedo: "Una partitina a carte?"

"A me un mi va." mi risponde Pietro.

"Bene! Allora siamo tre. Matteo un c'è?", chiedo a Pietro.

"Mah, prima c'era, poi dev'essere andato a fare un giro in motorino..."

Per le carte niente da fare, di stare a sedere al tavolo non ho voglia, Giorgia non c'è, allora mi alzo e torno al motorino. "Sapete che?" dico al gruppo seduto. "Vò a fare una girata in motorino anch'io."

Parto e rifaccio la strada che ho fatto all'andata fino a quando arrivo al Bar, poi, invece di proseguire per Le Prata, giro a sinistra, verso i giardini pubblici: deserto e desolazione, solo un paio di vecchi seduti su una panchina all'ombra.

Supero i giardini, arrivo alla Rota e volto a destra in direzione della chiesina, ma prima di arrivarci mi fermo allo stop di fronte alla strada che va verso la fonte del Borbotto. 'E ora?'. Giro a sinistra, tornando verso la Veranda, la supero e do un'occhiata: sono sempre tutti lì. L'intenzione è di fare il giro del paese, passando da Le Prata, di nuovo il Borgo, per poi fermarmi alla Veranda.

Vado in direzione del bivio in fondo al paese per Le Prata e passo davanti all'albergo. A quest'ora il bar dell'albergo è chiuso, tutti gli ospiti più anziani sono a fare il pisolino pomeridiano e nel giardino non c'è nessuno, a parte Matteo e Giorgia che pomiciano sul dondolo sotto gli alberi....

('...no ancora un s'è vista mah prima c'era poi un lo so mica se è andato a fare un giro in motorino e stamattina Matteo m'ha chiesto 'ma che stai con la Giorgia' e io 'sì' gli ho risposto 'ci sto sì perchè tu lo vuoi sapere' 'così per curiosità'...')

"..."

Freno, la ruota posteriore lascia una traccia nera sull'asfalto e mi fermo su uno spiazzo d'erba accanto alla strada, sotto l'albergo. Le tempie mi pulsano frenetiche, di fronte a me vedo tanti pallini neri che ballano e girano vorticosamente sullo sfondo del campo da tennis, nelle orecchie sento un ronzio fastidioso e continuo. Loro sono pochi metri sopra di me, sul dondolo che va lentamente su e giù e su e giù e su e giù, la spinta rinnovata da ogni movimento, ogni spostamento di una gamba, di un braccio, del corpo, e non si sono accorti di niente, almeno credo.

I pallini cominciano a diradarsi e a girare più lentamente, il ronzio diminuisce insieme al pulsare delle tempie: il sangue sta tornando a fare il suo lavoro di routine, gli effetti fisici si smorzano ma l'incazzatura no, anzi, si sta trasformando, da irrazionale e istintiva che era, in un'incazzatura lucida, ragionata, pericolosa.

'Che faccio?' penso. 'Salgo il giardino dell'albergo, gli arrivo alle spalle e mi schiarisco la voce con flemma inglese per rendere nota la mia presenza? No, meglio di no, poi m'ìncazzo, mi conosco. Grandissima puttana troia maiala Dio vi fulmini tutt'e due e poi sputi sulle ceneri. E fulmini anche me, già che c'è, che sono così testa di cazzo'.

Il ronzio comincia di nuovo ad aumentare. 'Calma.' Rimetto in moto il Ciao e guardo la strada: a sinistra l'albergo, il dondolo, loro, e più su la Veranda, gli amici; a destra, solo strada, sette chilometri di curve fino a San Godenzo ed altri sette per tornare a Castagno. Vado a destra.

martedì, dicembre 12, 2006

Fili in sospeso, capitolo sesto

6.

"Il tragico della vita è che tutti hanno le loro ragioni."

(Jean Renoir: "La regola del gioco")

Si è fatto buio ormai, e il rinfresco è illuminato da due potenti fari. Fa ancora caldo, e i sempre più frequenti bicchieri pieni di qualunque cosa non sia acqua non contribuiscono a far sentire la necessità di altro abbigliamento.

Dopo l'arrivo di Marco non avrei potuto sostenere per molto la conversazione con Giorgia senza diventare sgradevole. Fortunatamente sono intervenuti Gianni e Matteo riportando il dialogo su un tono più di circostanza, fino a quando il forno a legna non comincia a sfornare pizze e focacce, così mi allontano.

Da quel momento cerco di evitarla, e per riuscirci meglio ho raggiunto amici e amiche, riuniti a semicerchio su delle sedie da giardino a bracare su questo e su quest'altro ospite del rinfresco.

La festa sta lentamente arrivando alla fine. Alcune coppie ballano un valzerino scadente accompagnati dal suonatore di fisarmonica sulla terrazza, altre salutano e se ne vanno. Fra un po' andremo anche noi.a ballare al Gipsy, la discoteca di un ristorante lungo la strada del Muraglione. 'Bisognerebbe sentire se viene anche la Giorgia', penso, mentre il rumore del motore di un trattore si fa sempre più vicino.

"Dove va un trattore a quest'ora?" chiedo a Tommaso, seduto accanto a me.

"Viene qui."

Infatti il rumore è ormai arrivato dietro la casa, e dopo qualche istante sbuca sul prato un trattore con un rimorchio per il fieno, che si ferma proprio in mezzo alle tavole imbandite, dove pochi secondi prima la gente ballava. I ballerini interrotti e gli altri ospiti ridono e applaudono all'indirizzo dei due amici degli sposi alla guida del mezzo. Ridendo ci alziamo da sedere e ci avviciniamo al rimorchio, sul quale troneggia un piccolo divano a due posti.

Gli sposi si sistemano sul divanetto per essere subito sommersi e schiacciati dalla trentina di persone che montano in precario equilibrio in piedi nel mezzo del rimorchio o in bilico a sedere sui bordi, come me. Di fronte a me, in piedi, c'è Gianni, seduto sulle ginocchia c'è Tommaso, con Tiziana che si appoggia a lui per non cascare. Accanto a me, sul bordo, c'è Stefano detto Il Dolo, e dopo di lui Giorgia con la sorella della sposa e Marco.

Il trattore parte ondeggiando sugli sbalzi di terreno del prato finchè non ritorna sulla strada e si stabilizza, permettendo a noi dietro di cercare una posizione meno precaria. Caracolliamo in direzione della casa del popolo, lungo la strada che arriva da San Godenzo e circonda quasi tutto il paese.

Appena arrivato di fronte alla casa del popolo il trattore svolta a destra, in direzione del cimitero e delle ripe, il grande spiazzo a strapiombo sul bosco che è una delle classiche mete notturne di gruppi più o meno nutriti in vena di guardare le stelle cadenti e di fare due chiacchiere al buio, sdraiati sul prato, con la musica dell'autoradio che esce dal portabagli aperto della macchina.

Il trattore arranca, con il peso di trenta persone che cantano e vociano, sulla ripida salita del camposanto, prima di arrivare sul breve viottolo tutto poggi e buche il quale, girando dietro il cimitero, si allarga nelle ripe. Le ragazze cantano a squarciagola pezzi di Battisti e Cocciante, interrotte ogni tanto da inni della Fiorentina o da qualche coro di bestemmie di disapprovazione per la scelta delle canzoni.

Colgo l'istante di pausa fra la fine di un coro e l'inizio di un altro e comincio a cantare: "Passerotto..."

"...non andare viaaa.." proseguono due o tre ragazze, seguite dalle altre in un coro baglioniano coi fiocchi.

Il Dolo mi guarda meravigliato: Baglioni non ha mai fatto parte del mio bagaglio musicale. "O che sei grullo?" mi chiede.

"Te un ti preoccupare" gli rispondo.

Mi volto verso Giorgia che, appena iniziato il coro, si è rivolta alla vicina implorando: "No, questa no!", e alle altre ragazze, "Cambiate canzone". Per finire mi guarda, un po' arrabbiata e un po' lusingata. "Sei uno stronzo." mi dice.

"Stronzo? Moi?" Sgrano gli occhi, cercando di sembrare meravigliato. "Perchè?"

No, non ce la faccio, un sorrisetto maligno mi si stampa sulla faccia, rovinando la falsa espressione di meraviglia. Marco guarda Giorgia, poi si volta verso di me per un attimo. Incrociamo gli sguardi e il sorriso mi si allarga ancora di più.

****

Mia madre mi chiama. "Lorenzo!"

Appoggio sul petto il libro che sto leggendo, sdraiato sul letto dopo pranzo: La svastica sul sole, di Philip Dick. "Che c'è?"

"C'è la Giorgia."

Mi alzo dal letto, prendo un foglio ripiegato tre volte per la sua lunghezza, e lo metto alla pagina che stavo leggendo. Dal letto guardo verso il cassettone, dall'altra parte della stanza. Sul ripiano del cassettone c'è il radio-registratore, circondato da decine di cassette: Bruce Springsteen, Led Zeppelin, Eric Clapton, Jimi Hendrix, Pink Floyd, e una con l'etichetta gialla e verde, che fa parte di una raccolta di cantautori italiani comprata dai miei per corrispondenza. Su un lato c'è Claudio Baglioni, sull'altro Cocciante, roba da urlo, ma ora va messa per forza.

Si apre la porta: è lei. "Ciao." Guarda verso il radio-registratore, ascolta per un attimo, fa una smorfia e mi chiede: "Cos'è questa roba?"

"Deep Purple," rispondo sconsolato, ma intanto ha già tolto la cassetta e ha messo quella di Baglioni.

Per fare questo mi volta le spalle, e la guardo: oggi ha un paio di jeans cortissimi e molto attillati, così da modellarle alla perfezione il fondoschiena e mostrarne la parte che si unisce alle gambe, e una camicia arrotolata e annodata sopra l'ombelico. Vestita così può mettere Baglioni, Cocciante, il Quartetto Cetra, non me ne importa una sega.

E' tornata due giorni fa dal mare, e abbiamo già risolto la discussione che c'è stata la mattina che sono andato via da Riccione con Carlo e Alessandro, una decina di giorni prima. La sera precedente tutto bene: la spiaggia, la poltrona a sdraio e il mare in amore. La mattina, dopo che per l'ennesima volta abbiamo fatto la strada Milano Marittima-Riccione, questa volta con la tenda e le borse nel portabagagli dell'auto pronti per il ritorno a Firenze, tutto era cambiato.

Giorgia ha parlato poco e niente sia sulla spiaggia, quando ci siamo fatti alcune foto con lei, Paola e Francois per documentare la spedizione, sia dopo pranzo, e al momento di partire mi ha detto che non voleva più vedermi, che la sera precedente era stata la sera precedente e basta, che non mi facessi delle illusioni e non le rompessi più i coglioni. Sono rimasto per tutto il viaggio in auto a chiedermi che cazzo avevo fatto, che cazzo avevo detto, che cazzo era successo durante la notte, con un nodo alla gola grosso come una pallina da tennis, e intanto chiacchieravo con Carlo e Alessandro del più e del meno, evitando accuratamente di portare il discorso sui due giorni appena passati.

Il giorno dopo le ho scritto una lettera di quelle compromettenti, serie, che le è arrivata all'albergo proprio qualche ora prima di partire per venire a Castagno: che culo che ha certa gente! Così la sera del suo arrivo mi ha spiegato tutto: non mi aveva creduto quando le avevo detto che l'amavo sulla spiaggia, pensava che una volta arrivati quassù l'avrei trattata come una cosa di mia proprietà, e allora aveva preferito trattarmi male per non star male dopo. Mavaffanculo!

E ora, eccola là, al cassettone, fa partire la cassetta, alcuni secondi di silenzio e poi la voce fioca e deprimente di Baglioni comincia a gorgogliare "Passerotto non andare viaaa..."

'Madonna che palle lui e il passerotto!' penso di nuovo, mentre Giorgia si avvicina. Appena arriva a portata di mano ripeto la manovra provata sulla spiaggia a Riccione e la sdraio sul letto. Vai vai, Baglioni, canta.

Fili in sospeso, capitolo quinto

5.

Era davvero orribimente romantico.

(Boris Vian)

"A mezzanotte in albergo." hanno detto i genitori di Giorgia, e noi non abbiamo insistito più di tanto per cambiare l'orario. E' stata una giornata campale, dovevamo tornare a Milano Marittima, al campeggio, alla tenda, e magari dormire anche un po'.

Cristina ha tallonato Alessandro per tutta la sera, l'ha marcato a uomo senza mollarlo un attimo, e lui si è salvato soltanto grazie a Francois, un ragazzone francese che sta nello stesso albergo di Giorgia e che si è aggiunto a noi dopo la cena. Forse non ha notato che con lui siamo in sette, e che sette è un numero dispari, abbiamo pensato, invece l'ha notato, ed è proprio per questo che si è aggregato: è cotto di Giorgia, e vuole impedirmi libertà di movimento, ma è riuscito solo a fare in modo che Cristina non sia saltata addosso ad Alessandro, che non aveva nessuna intenzione, oggi, di tornare di nuovo a Riccione.

Durante il viaggio di ritorno sull'Adriatica affollata di auto ferme e incolonnate, è cominciata un'opera di convincimento pressante.

"Perchè un tu vuoi andare con la Cristina?" ha chiesto Carlo al fratello mentre eravamo fermi in coda davanti ad un semaforo verde.

"E' brutta." ha risposto Alessandro.

"Però è maiala." sono intervenuto. "Un fare la fava, quella tu te la trombi! Mica come me, che son lì che tiro, tiro ma quell'altra un mi vol dar nulla, accident'a ogni cosa."

"C'ha ragione il biondo." ha insistito Carlo. "Quella tu te la trombi! Via! Un ti conosceva nemmeno che l'è andata sott'acqua a morderti le gambe!"

"Te pensa alla Paola, che potrebbe essere la tu' figliola." gli ha ribattuto il fratello.

"Sie, bah! La mi' figliola! Perchè c'ha tredici anni e io ce n'ho venti?"

"Figliola o no, con quella un tu ci trombi."

"E che vuol dire? Un ci son mica solo le trombate al mondo!"

"E' vero!" ho concluso "Ci sono anche le seghe."

Durante le due ore di viaggio necessarie per coprire il tragitto fra Riccione e Milano Marittima la discussione è continuata. Alessandro non poteva farcela, eravamo due contro uno, e stamani, cinque luglio 1986, giorno del mio diciottesimo compleanno, dopo esserci alzati dalla tenda, lavati e fatto colazione, siamo risaliti in auto. Verso Rimini ci siamo svegliati, era quasi ora di pranzo e ci siamo fermati in una pineta a mangiare con le mani un pollo arrosto preso in una rosticceria.

Nel pomeriggio, appena Cipolla e la moglie ci hanno visto spuntare all'orizzonte hanno iniziato a farmi gli auguri, a ricordarmi che compio diciotto anni e sono maggiorenne, a invitarmi a cena con loro e a insistere di fronte ai miei rifiuti. Alla fine l'ho spuntata, ma hanno voluto per forza farmi parlare con i miei e pagare la telefonata, poi ci siamo defilati alla ricerca di una pizzeria.

Al nostro ritorno, dopo cena, Giorgia e Paola ci stanno aspettando a sedere sul dondolo dell'albergo. C'è anche Francois.

Io e Carlo ci mettiamo a sedere sul dondolo e Alessandro su una poltrona di fronte a Francois, chiedendo speranzoso: "Cristina un c'è?"

"Adesso arriva, non essere ansioso." gli risponde Giorgia.

Durante il secondo viaggio Milano Marittima-Riccione siamo tornati sull'argomento, sempre con toni aulici e dolcestilnoviani: "Trombatela", "No", "O trombatela", "Ho detto di no", "Fatti fare una pipa, così un tu la vedi in faccia", "Eh.... quasi quasi", così, appena vediamo Cristina, io e Carlo proponiamo una passeggiata per viale Ceccarini e una puntatina sulla spiaggia, col desiderio poco mascherato di combinare qualcosa. Francois ci segue come un fedele cagnolino rompicoglioni di un metro e ottanta.

La strada è un formicaio: uomini, donne, finocchi, punk, paninari, dark, giovani, anziani, bambini, sono tutti qui, chi a farsi guardare, chi a guardare. La massa di gente non ci permette di camminare tutti e sette insieme, quindi ci incolonniamo, preparando le coppie per la successiva puntata in spiaggia: io e Giorgia, Carlo e Paola, Alessandro e Cristina e Francois.

Dopo una mezz'ora di spintoni e pestate di piedi ci dirigiamo verso la spiaggia. Fendiamo la calca e lentamente ricominciamo a respirare. Sulla spiaggia è fresco, non c'è quasi nessuno e si sta bene, anche se la sabbia entra nelle scarpe e non andrà via fino al prossimo luglio, quando ne entrerà dell'altra.

Apriamo qualche sedia a sdraio, ci sediamo e continuiamo per alcuni minuti a parlare l'uno con l'altro, escludendo lentamente Francois dalla conversazione, grazie anche al fatto che parla solo francese. Quando capisce di essere il settimo incomodo si alza, si avvicina ad alcuni pedalò in secca sulla spiaggia e ci gira attorno fino a quando i suoi movimenti perdono interesse per tutti noi.

Mi sono sdraiato già da qualche minuto, continuando a parlare con Giorgia e tenendo Alessandro e Cristina ai bordi della visione periferica, a due poltrone di distanza. Alessandro è sdraiato come me, in silenzio, lo sguardo rivolto al cielo. Cristina, seduta accanto a lui, lo guarda sognante, ormai siamo dove voleva, non può più scapparle. Non vedo Carlo, coperto dal fratello e dal buio, ma lo sento parlare con Paola.

Rapidamente perdo interesse anche in loro quattro, allungo un braccio verso la spalla di Giorgia, l'agguanto, mi alzo e a metà strada ci incontriamo, ci baciamo. Mi metto a sedere e la spingo a sdraiarsi, farfugliando fra i baci e il respiro affannato qualcosa di sicuramente romantico e convincente ma di altrettanto sicuramente incomprensibile.

Appena terminata la manovra, scendo con i baci dalla bocca al collo, sdraiandomi accanto e sopra di lei. Mentre continuo a baciare leccare e sbavarle il collo, con le mani cerco di sbottonare tutti quei cazzo di bottoni che ha sulla camicetta finchè non trovo una maglietta una canottiera una muraglia cinese di stoffa, insuperabile se non attraverso una manovra di aggiramento. Anche lei mi ha sbottonato la camicia, l'ha tirata fuori dai pantaloni e ora mi abbraccia la schiena nuda, la stringe, la graffia delicatamente con le unghie. Tento di infilare le dita sotto la stoffa della maglietta, cercando di raggiungere una posizione tale che mi permetta se non di palpare tutto un seno almeno di averne la maggior superficie possibile nella mano.

Alessandro continua a guardare le stelle, finge di addormentarsi voltandosi dalla parte opposta ai nostri armeggii. Guarda verso il fratello, che sta ancora parlando con Paola, ma intanto l'ha abbracciata, poi guarda verso i pedalò ma Francois è chino sul bagnasciuga che cerca ricci, conchiglie, o semplicemente di non far caso a quello che sta succedendo.

I sospiri i grugniti e i movimenti da una parte, il fratello abbracciato e lanciato verso il traguardo dall'altra, lo fanno riflettere sulla situazione. 'Ma sì', conclude. 'M'import'una sega. Sarà anche brutta ma, oh, ci sta anche di combinare più di quest'altri due bischeri messi insieme.'

Si volta verso Cristina, illuminata dalla luna e le sorride. Lei sorride a sua volta: le brillano gli occhi. Almeno se la luna non la illuminasse proprio in faccia.

Alessandro scuote la testa. "No, no." dice ad alta voce. "'Un ce la fo, un c'è verso." Si alza dalla sedia a sdraio e raggiunge Francois sul bagnasciuga.

Giorgia mi ha tolto la mano da sotto la maglietta. Ho la testa nell'incavo fra la sua spalla e il collo, e sono intento a baciarla e morderla, assorto come una talpa che sta scavando una galleria sottoterra, concentrato come un frate in preghiera, che quasi non mi accorgo quando mi chiede: "Ma mi vuoi bene?"

Faccio finta di nulla e continuo, ma inizia a scuotermi la spalla, ripetendo: "Ma mi vuoi bene?" e costringendomi a interrompere la mia fervente attività.

Alzo la testa rosso in viso, la guardo negli occhi, sorrido e rispondo: "Certo", aggirando l'ostacolo.

"Ma non me l'hai mai detto" insiste.

"E ora che ho detto?"

"Hai detto 'Certo'."

"E un va bene?" Lo so anch'io che non va bene, ma lei lo sa meglio di me e volta la testa verso il mare. Ricomincio a baciarla e a mordicchiarla sul collo, stavolta distrattamente. In fondo non devo dirle che la verità, niente di più semplice. A parole. Ma nei fatti...

"Grnftiamfrugphf", grugnisco.

"Eh?" Fa finta di non capire, la stronza.

"Grmpfamompmdf" ripeto.

"Come?"

Ha ragione, glielo devo dire. La guardo, è ancora rivolta verso il mare. "Ti amo."

Si volta, e ci guardiamo negli occhi.

"Allora? Non hai capito nemmeno stavolta? Ti amo."

Solo a questo punto mi abbraccia. mi spinge a sè e ci baciamo. La mano si riavvicina al bordo della maglietta, esita per un istante, poi le dita si fanno spazio lentamente.

In sottofondo le onde fanno un rumore placido e sensuale. Otto anni dopo, una commessa d'erboristeria quindicenne molto sveglia e con due tette tonde e piene come due poponi mi parlerà del 'mare in amore', situazione romantica ed erotica, con le onde che si infrangono sul bagnasciuga lasciando una densa scia di schiuma e ritirandosi con un suono lento e liquido che provoca nelle sconsiderate coppie che lo ascoltano troppo a lungo uno stato di passione irrefrenabile. E' il rumore che sentiamo stasera, il mare in amore.

Ma non c'è soltanto il mare, il rumore delle onde sul bagnasciuga e quello del sangue che mi pulsa nella testa e fra le gambe, c'è anche del movimento che percepisco nel buio, a qualche metro di distanza.

Qualcuno che si alza. "No! Sono troppo piccola!" sento dire, con tono risentito e lusingato allo stesso tempo. E' Paola.

Anche Carlo si alza dalla sedia a sdraio. "Ma guarda che io..." tenta di giustificarsi, ma non capisco il seguito della frase, perchè sto già ridendo sulla spalla di Giorgia, e anche lei ride.

Il momento è passato, il mare in amore sta già influenzando chissà chi, ma di questo me ne preoccuperò dopo, avrò anni per rimpiangerlo, ora non posso che ridere.

Dopo, tornando verso l'albergo e verso l'auto che ci riporterà per la seconda volta a Milano Marittima, le ragazze che camminano con Francois alcuni metri di fronte a noi, io e Alessandro sommergiamo Carlo di domande.

"Allora, allora?" lo incalziamo.

"Allora nulla." inizia. "S'era lì, si chiacchierava, e di qua e di là, e questo e quest'altro, insomma, m'avvicinavo e lei zitta, l'abbracciavo e zitta, l'ho stretta a me e zitta. Poi ho provato a baciarla...", pausa a effetto. "S'è incazzata....'No! Sono troppo piccola', mi fa."

"Sì sì, è vero" confermo ad Alessandro, fra le lacrime e i singhiozzi delle risate. "L'ho sentito. Ohiohi che ridere."

Continuiamo a ridere e a camminare e ogni tanto Giorgia e Paola si voltano a guardarci, meravigliate. Cristina ci ha già salutati, incazzatissima. Non la rivedremo mai più. Francois precede tutti, zitto e solitario.

'Ragazzi, che compleanno!' penso. 'Non ce ne sarà mai un altro così.'

Come odio avere ragione.