giovedì, agosto 16, 2007

Fili in sospeso, capitolo diciassettesimo

17.

"Se Dio mi voleva in pace, ci avrebbe pensato lui."

(Chris Penn: "Fratelli")

Marco è ancora al flipper, gli altri bestemmiano da più di un'ora giocando a ventuno, e ancora nessuno si è avvicinato al tavolo vicino al muro della casa del popolo dove ci siamo seduti io e Giorgia. Il mio accenno a Caroline l'ha turbata, così cerco di sminuire il suo commento, scherzandoci sopra. "Sì, vabbè, sono stato un po' figlio di puttana, ma addirittura i tre giorni più brutti della tua vita, mi sembra esagerato...."

"Comunque," mi dice Giorgia cambiando discorso, " so che si è fidanzata. Però non con il camionista."

Il camionista? Cerco di fare mente locale, poi ricordo: Caroline, così dolce e sensibile, così "francese", era innamorata di un camionista di vent'anni, me ne parlò anche in una delle sue lettere. Le donne, valle a capire.

"E poi cosa c'entri tu? Non è certo colpa tua." continua.

Mi trovo spiazzato. "Cosa?"

"Di quei tre giorni." Giorgia comincia a riprendersi dal breve turbamento di prima.

"In che senso?" le chiedo, anche se un barlume di comprensione comincia ad illuminarmi.

"Nel senso che non sono stati i giorni più brutti della mia vita per colpa tua. Non te ne prendere il merito." Mentre parla il suo sguardo si abbassa da me al tavolo di plastica bianca.

"Sì, e Gesù Cristo è morto di sonno." rispondo.

"Come?"

"Nulla, lascia perdere." Poi continuo: "Diciamo allora che a quell'epoca avevo una visione un po' ristretta dei rapporti fra persone, e che nella mia mente pensavo che provandoci con Caroline tu avresti sofferto, così mi sarei vendicato di quando sei andata con Matteo."

"Ancora con quella storia." sbuffa. "Ma ora sono cambiata. Ho capito i miei errori."

"Già, lo so." le ghigno, sarcastico. "Ora sei diventata una ragazza seria..."

"Infatti. Poi tu da me volevi soltanto una cosa...."

"No!" la interrompo. "Volevo ANCHE quella cosa, è diverso."

"...invece Marco mi rispetta." termina Giorgia, arrossendo all'istante.

Realizzo dopo un attimo il significato della frase. 'Naaaa,' penso, 'non è possibile. Ha ventitre anni. Stanno insieme da più di cinque anni....' La guardo, il rossore sta scomparendo, ma è ancora imbarazzata.

Rimango muto per un attimo. Devo cambiare discorso. "Pensavo.... Quei quaderni che usavi come diari...."

"Cosa?"

"Ce li hai ancora?"

"Sì, certo... Ogni tanto li prendo, li rileggo..."

"Sarei curioso. Mi piacerebbe leggerli... Leggere cosa scrivevi, come sentivi, come vivevi quello che ci... che ti succedeva..." Mi fermo per un attimo. "Dobbiamo restare in contatto. La prossima volta che ci vediamo, se vengo io a Bologna, se vieni te quassù, mi farebbe piacere..."

"Volentieri." mi dice. Sembra quasi contenta della mia richiesta.

"C'è scritto proprio tutto?"

"Tutto."

"Anche quando sono venuto a Bologna in treno, con Carlo, Matteo, Tommaso..."

"Che ho fatto?" dice Tommaso, in piedi sulla porta dietro di me, con un bicchiere di birra in mano.

"No, nulla." gli rispondo, girandomi verso di lui. "Si diceva di quando s'andò a Bologna in treno."

"Ah. Me lo ricordo." Dietro a Tommaso, che blocca l'uscita, spunta Marco. Tommaso si sposta e Marco esce, per mettersi a sedere di fronte a noi.

"Fra poco andiamo." annuncia a Giorgia. Lei annuisce.

"E la partita com'è finita?" chiedo a Tommaso.

"S'è vinto io e Matteo. Pennellino tirava dei moccoli..." Si sposta dalla porta e, appoggiata una sedia al muro, accanto a me, si mette a sedere.

Come se fosse stato chiamato Gianni spunta fuori dal bar, anche lui con una birra in mano. Lo guardo e sorrido. "Che hai perso?" gli chiedo.

"Camadò, un m'è entrato nemmeno una carta"

"Eeh, che tu ci vuoi fare...", comincio, interrotto dalla mano di Giorgia che mi stringe il braccio. Lascio perdere la discussione e mi volto verso di lei.

"Noi andiamo" mi dice.

"Digià?" le chiedo.

"Dobbiamo passare a salutare Carlo e Cristina." mi risponde Marco. "Poi a casa di suo nonno..."

"E tornare a Bologna." conclude Giorgia.

Come passa il tempo: mi sembrano pochi minuti che l'ho rivista e la sto già salutando.

Le chiacchiere sono state interrotte per permettere di scambiarsi i saluti. Marco si alza dalla sedia e porge la mano verso Tommaso, poi a Gianni e a Matteo. Io bacio Giorgia sulle guance. "Scrivimi qualche volta." le dico.

"Scrivimi tu." mi risponde. "Così mi dici come hai passato mercoledì prossimo." Mi fa un sorrisino complice.

Mercoledì prossimo. Dieci anni che la conosco. "Te lo posso dire anche subito.", le dico, "Prendo un bicchiere di spumante, vado in terrazza e brindo."

"Sarebbe bello, ma non lo farai."

"Vuoi scommettere?"

Marco si avvicina, la mano tesa. Mi volto e gliela stringo, sorridendo. "Tornate qualche volta quassù."

"Dipende da lei." risponde, indicando con la testa verso Giorgia, ancora accanto a me.

"A Natale sicuramente." mi dice.

"Allora ci vediamo."

"Già. Ci vediamo."

Ancora qualche altro ciao buttato a questo e a quell'altro, poi si incamminano verso l'auto, scomparendo al di là dei cespugli che dividono la Veranda dalla strada.

"E di nuovo punto e a capo."

"Come?" mi chiede Matteo.

"No, nulla, pensavo." rispondo distratto. Cammino in direzione del tavolo dove tutti sono tornati a sedere.

"E a che pensavi?" insiste Matteo.

"Cazzi miei. Che si fa stasera?"

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