sabato, febbraio 24, 2007

Fili in sospeso, capitolo tredicesimo

13.

Parigi val bene una messa.

(Enrico IV di Francia)

Il buio mi è venuto a noia. Cerco a tentoni l'interruttore della lampada sul comodino, lo premo e la luce mi esplode nella testa come un candelotto di dinamite. "Diocristo!" mugolo, stringendo gli occhi per pararmi dall'improvviso biancore che mi ha invaso. Faccio passare qualche istante poi, timidamente, alzo una palpebra. La luce penetra la fessura e colpisce l'iride, ma non con la violenza di prima. Lentamente apro tutto l'occhio, poi l'altro.

Mi giro verso il comodino, prendo l'orologio, lo guardo, segna le dieci quindici venticinque trentadue. Troppa roba. Mi stropiccio gli occhi, avvicino di più il quadrante al viso e vedo che la lancetta che avevo vista ferma sul cinque sta arrivando a scatti verso il sette. Le dieci e un quarto. Appoggio di nuovo l'orologio sul comodino, metto le braccia dietro la testa e guardo il soffitto, che è come guardare il nulla, visto che è bianco e che sono senza occhiali. Mi sento la bocca piena di colla, il fiato ha l'odore di cane morto annegato: i postumi del matrimonio e della discoteca.

'Non ho dormito una sega.' penso.

"Dormirò stanotte." concludo ad alta voce.

Con un enorme sforzo di volontà sollevo le coperte e mi alzo dal letto. Medito per qualche altro secondo seduto sulla sponda del materasso, mi gratto la barba, sbadiglio ululando come un coyote e mi metto in piedi.

Apro la porta della camera e vocio: "Buongiornoo!", per farmi sentire al piano di sotto, in cucina.

Mi lavo, mi vesto e dopo aver fatto velocemente colazione vado fuori che sono quasi le undici e mezzo. Salgo in auto e faccio il giro del paese, per vedere se trovo qualche altro reduce della nottata, ma alla Veranda non vedo parcheggiata nessuna automobile di mia conoscenza, così non mi fermo neanche, proseguo verso il Borgo ed arrivo davanti alla chiesa qualche minuto prima dell'inizio della messa.

Sono praticamente fermo a causa dei capannelli di gente che chiacchiera in mezzo di strada quando vedo arrivare Giorgia e Marco, svegli e pimpanti. Tiro giù il finestrino e chiamo: "Giorgia." Si voltano circa trenta persone ('cazzo vogliono?'), fra le quali lei e il fidanzato. Mi salutano e si avvicinano al finestrino, così che sono costretto a guardarli dal basso verso l'alto. La cosa mi rompe le scatole: sono abituato a guardare la gente dal basso verso l'alto, ma così è veramente troppo.

"Vieni alla messa?" mi chiede Giorgia.

"Si può dormire?"

"No di certo."

"Allora non fa per me. Ci si vede dopo pranzo alla Veranda?"

"Penso di sì. Ciao a dopo."

"Ciao."

Anche Marco mi saluta: "Ciao."

'Vaffanculo' penso mentre gli sorrido e gli faccio ciaociao con la mano. Riparto, completo il giro del paese passando davanti al bar di Lamberto, al forno, alla mia vecchia casa e a quella dei nonni di Giorgia, all'albergo, per poi fermarmi di nuovo di fronte alla casa del popolo. Continua a non esserci nessuno.

'Che faccio?' Rifletto per un attimo. 'In fondo don Bruno è un ganzo. E poi chissà che...' Parcheggio l'auto, scendo e mi incammino verso la chiesa, di fronte alla quale sono rimaste poche persone a parlottare. La messa è gia iniziata, così apro lentamente una delle porte laterali della chiesa ed entro nella piccola navata. Giorgia e Marco sono proprio accanto alla porta e mi vedono entrare. Giorgia sembra contenta, o forse è solo stupita, oppure mi immagino tutto io.

'Ecco a voi!' penso. 'Per la serie tira più un pelo di fica che una coppia di buoi in salita: il figliol prodigo! la pecorella smarrita! il reprobo pentito!'

Mi metto in silenzio davanti a Giorgia e ascolto l'omelia di don Bruno. Accanto a me qualcuno comincia a fare: "Psst... Psst... Oh!" Mi volto: è un ragazzo che abita nel paese vicino. "O te che tu ci giri?", mi chiede a bassa voce dopo essersi avvicinato al mio orecchio.

"Dove?" gli rispondo. "Io un ci sono mica. Io sto dormendo a casa mia, e chi dice che mi ha visto a messa è un vile bugiardo mentitore."

"Ah, ho capito." sorride. "Sei in incognito."

"Bravo." concludo, e torno a seguire l'omelia.

Dopo pranzo non prendo neanche il caffè e scendo subito alla casa del popolo. Trovo Matteo, Tommaso e Gianni nella sala interna, intenti a giocare a ventuno con il macellaio di Castagno.

"Diobono," gli dico, guardando l'orologio, "un sono nemmeno le due e siete digià a giocare a carte?"

"Siamo arrivati presto." mi risponde Tommaso.

"Me ne sono accorto. Che c'avete dimolto?"

"Questa è la prima."

"Madonna che palle." sbuffo, e vado al bancone del bar. "Un caffè" dico a Patrizia, la cugina di Giorgia, che oggi è di turno dietro il banco. "La tu' cugina?" le chiedo.

"Fra un po' dovrebbe arrivare."

Bevo il caffè, mi metto a sedere a leggere L'Unità, e ogni volta che la porta si apre guardo chi entra. Il quinto ingresso è quello giusto.

"Prendi qualcosa?" mi chiede Marco indicandomi il bancone.

"No, grazie, ho già preso il caffè." Mi rimetto a leggere il giornale e Giorgia, in attesa del fidanzato, si mette a sedere accanto a me.

"Come mai sei venuto a messa?" mi chiede sospettosa.

"Perchè, è vietato?" le rispondo continuando a guardare il giornale.

"No no, anzi. Solo che quando te l'ho chiesto io sei stato così... sarcastico."

Poso L'Unità sul tavolo e la guardo sorridendo. "Si vede che invece che sulla via di Damasco io sono stato folgorato sulla via del Borgo."

"Non fare lo stupido."

Ritorno serio. "A parte gli scherzi." le dico. "Mi è venuta voglia di andare a messa, ecco tutto. E poi ho sempre rispettato don Bruno. Fossero così tutti i preti, andrei a messa ogni giorno." Sono stato quasi sincero: rispetto veramente don Bruno. L'andare a messa ogni giorno resta comunque tutto un altro paio di maniche.

Marco si avvicina al tavolo. "Vado a fare una partitina a flipper." dice rivolto a Giorgia, facendo tintinnare un po' di monete sul palmo della mano. Dal suono che fanno gli spiccioli, le partite saranno più di una. 'Ecco, vai, levati dai tre passi.' penso.

Mentre Marco si incammina verso il flipper, chiedo a Giorgia se vuol venire a sedere fuori. Fa cenno di sì, così usciamo e ci mettiamo ad uno dei tavolini all'esterno.

"Meno male che ho preso il caffè." le dico mentre mi siedo. Sto prendendo il discorso alla lontana, ma so benissimo dove voglio andare a parare. "Ho un sonno tremendo."

"Come mai?" mi chiede Giorgia.

Mi faccio serio, aggrottando le sopracciglia. "Indovina." dico, guardandola rabbuiato. Non le lascio il tempo di rispondere. "Dopo che ti ho rivisto, dopo quello che ti ho detto in discoteca, come facevo a dormire? Mi sono messo così, al buio, a ricordare...."

"A ricordare cosa?"

"Tutto, o almeno quasi tutto. Quando ti ho conosciuta.... Quando sono venuto a trovarti a Riccione..."

"Con Carlo e Alessandro." dice, sorridendo al ricordo. "Ti ricordi quando sono venuta in gita a Firenze, e mi hai aspettato al piazzale Michelangelo per salutarmi?"

"Sì, certo. E il capodanno....."

Ora è lei a rabbuiarsi. "Quella volta ce l'avevo messa tutta..." mi dice, "Volevo che andasse bene."

"E invece..." concludo. "Ecco! Questa è una cosa che non ricordo: come mai è andato tutto a puttane, quella volta? Non riesco a ricordarlo. Eppure è roba di quanto, cinque o sei anni fa, non di più."

"Non lo ricordo neanche io."

Per un attimo nessuno dei due dice niente, poi decido di interrompere questo silenzio imbarazzante. "A proposito di Riccione..." le chiedo, "Paola l'hai più rivista? Francois?"

Mi risponde, quasi sollevata di aver cambiato argomento. "Paola la vedo ancora, non tutte le estati, ma ci scriviamo. Francois è venuto anche l'anno dopo, poi non l'ho più sentito."

"E Caroline?"

Giorgia si rabbuia di nuovo. Io sorrido. "Caroline... Ci scambiamo gli auguri a Natale e a Pasqua, poi per il resto...." Si ferma per un attimo. "Sono stati i tre giorni più brutti che ho passato..."

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